giovedì 28 marzo 2013

Petizione di un folto gruppo di Intellettuali Albanesi, Italiani e Kosovari alle massime autorità dell'Albania e del Kosovo




Petizione di un folto gruppo di intellettuali Albanesi, Kosovari e Italiani al Presidente della Repubblica, al Parlamento e all’Accademia  delle Scienze del Kossovo e al Presidente della Repubblica di Albania riguardo il dibattito sollevatosi qualche tempo addietro sulla questione dell’alterazione dei contenuti nei testi scolastici ed universitari di Storia, in uso negli istituti ed atenei del Kosovo, inerenti il periodo del’invasione ottomana.
Infatti il governo Kosovaro, sotto la forte spinta di quello turco, cerca, attraverso una pseudo commissione scientifica, di alterare  le essenzialità  di uno dei periodi più bui e tragici non solo della storia albanese, ma anche di quella balcanica e dell’Europa tutta.
I fatti storici e gli argomenti scientifici, è scritto nella petizione, sono eventi e momenti importanti nella storia di una nazione.
L’invasione turca nei balcani e in questo caso nel Kosovo, ha costituito una tragedia per le popolazioni albanesi e un dramma indelebile per l’intera Nazione e tutto ciò non può essere modificato da un sistema politico arroccato al potere dove negligente ed incoerente, nonché di scarsa qualità diplomatica, appare la sua genialità.
L’interpretazione della Storia non deve essere retaggio del potere politico o degli “appetiti dei turchi”, questi ultimi intenti a farsi riconoscere, soprattutto in questo periodo, come santi del passato e profeti di oggi.  
Modificare la Storia è un gesto inconsulto e questo il governo kosovaro lo sta facendo dietro la spinta di quello turco - continua la lettera- senza considerare la possibile ritorsione dei Serbi che già da tempo richiedono l’inserimento di un loro amministratore nell’attuale configurazione politica del neo nato stato del Kosovo.
La verità è incontrovertibile”, affermò Winston Churchill e su questa premessa è necessario che si basi la nostra storia.
L’obiettivo primo della storia deve essere sempre la verità che va ricercata con metodologia scientifica e non con pseudo-commissioni, preposte, in maniera arbitraria, a redigere  o modificare contenuti storiografici, ormai oggetto dei maggiori studiosi del mondo. Non si possono occultare i genocidi perpetrati dagli Ottomani nel periodo della loro occupazione, come non si può celare ai posteri che costoro proibirono la parlata albanese in territorio albanese e imponendo la propria religione ad un popolo nato libero e fiero.
Non è possibile cancellare dai libri di Storia la diaspora degli Arbereshe, che in massa, nel corso del XV e XVI furono costretti  abbandonare i lidi della madrepatria e  raggiungere quelli italiani per non cadere vittime della loro inaudita ferocia.
Le aspirazioni turche sono inaccettabili visto che loro unico intento è quello di spezzare la spina dorsale ad  una entità etnica nazionale ricchissima di tradizione storica.
E’ nostro desiderio, affermano i richiedenti nella missiva, che permangano fra i due paese, nell’interesse di entrambi, buoni rapporti diplomatici, ma senza dimenticare ciò che asseriva Aristotele: Amicus Plato, sed Magis Veritas Amica” (ho un amico in Platone, ma la mia migliore amica è la verità).
Pertanto i firmatari della petizione chiedono, in nome della Verità Storica, al Governo del Kosovo, all’Assemblea Nazionale del Kosovo, alle Istituzioni Culturali e Accademiche e agli studiosi, di non tradire la propria coscienza professionale e nazionale, di rivedere con disciplina tale decisione arbitraria e antinazionale, di sciogliere la pseudo-commisione scientifica (turca e kosovara), permettendo che il lavoro venga svolto invece da istituzioni e studiosi attraverso un rigido e dottrinario metodo scientifico e non secondo la volontà trasformistica interessata dell’attuale linea politica del governo turco.







Tra i firmatari italo albanesi sono da menzionare:

Ardian Ndreca (filosofo Università Urbaniana di Roma, Italia)Anton Berishaj (critico letterario, poeta, Università di Prishtina) Franco Altimari (Albanologo dep. Rettore Università della Calabria, Italia)Matteo Mandalà (Albanologo Università di Palermo)
Francesco Marchianò (Docente Storico Italia)
Vincenzino Vaccaro (Saggista Storico Italia)
Brunilda Ternova (giornalista Pubblicista Italia)

Agron Tufo (scrittore, Università di Tirana)
Artan Shkreli (architetto)
Agron GJEKMARKAJ critico letterario, UT)
Anton Gojcaj (sceneggiatore)
Arian Krasniqi (drammaturgo)
Aleksander Cipa (presidente dell'Unione dei Giornalisti, poeta, pubblicista)
Agreta Gashi ( medici, l'Università di Prishtina)
Antonio Gashi (violoncellista, Università di Prishtina)
Arben Rugova (giornalista, pubblicista)
Aida Dismondy (PhD)
Ardian Haxhaj (sceneggiatore)
Approccio Krasniqi (scienze politiche, Università di Tirana)
Arbana. F. Xharra (editore, giornalista)
Avni Zogiani (attivista della società civile, pubblicista)
Albert P. Nicholas (antropologo, Università di Tirana)
Aljula Jubani (studi albanese, Università di Tirana)
Angjelin Stefano (Università di Tirana)
Arlind Doberdolani (studente)
Anila Malile (diplomatico)
Adnan Mustafa (farmacista)
Alfred Duca, avvocato)
Alda Bregasi (Cardiologia, Università Yale)
Aslan Muharram (traduttore)
Beqë Cufaj (scrittore, pubblicista)
Brunilda Ternove (giornalista, traduttore)
Bujar Kapllani (scultore)
Morina Trust (storico)
Begzad Baliu (studi albanese, Università di Pristina)
Bardhyl Matraxhiu (critica, UT)
Franco Bianco (scrittore, pubblicista)
Behar Iglesias (scrittore, ricercatore),
Bardhyl Londo (poeta, Gran Maestro)
Aldi Suta (critico letterario, Università di Aleksander Xhuvani)
Donika Gervalla-Schwarz (attivista, pubblicisti)
Daut Demaku (sceneggiatore)
Dorian Chariot (pubblicista, UT)
Endurance Caca (poeta) Eugene Merlika (pubblicista, scrittore)
Elida Buçpapaj (poeta, editore)
Edita Kuçi Ukaj (editore, traduttore)
Entela Kasi (scrittore, presidente di New Pen Center)
Erion Hasanbelliu (elettricista )
Franco Altimari (Albanologo dep. Rettore, Università della Calabria, Italia)
Femi Cakolli (critico letterario)
Acka Butterfly (sceneggiatore)
Surroi Flame (editore)
Francesco Marchianò (docente di Spezzano Albanese Calabria)
Fahri Xharra (pubblicista)
Fatmir Terziu ( scrittore, critico d'arte)
Bandiera Shehu (compositore, Gran Maestro)
Joy Gurga (studi albanese, Università degli Studi di Palermo, Italia)
Giuseppina Turano (studi albanese)
Joy Alpioni (sociologo, Università di Birmingham)
Chris Basha (poeta, traduttore)
John Berisha (storico, Istituto di Storia)
George Filipaj (giornalista, scrittore)
John Keka (pubblicista)
George Bajram Kabashi (pubblicista)
Halil Haxhosaj (scrittore, critico letterario)

Ismail Kadare (sceneggiatore)
Iris Elezi (regista)
Imer Mushkolaj (pubblicista)
Isak Ahmeti (studi albanesi, sceneggiatore)
Zajmi Rugova (scrittore, giornalista)
Irena John (poeta)
Ismail Rugova (biblioteca, traduttore)
Yahya Drançolli (storico, docente)
Jonila Godole (traduttore, sceneggiatore)
M. Shala (critico letterario, Università di Prishtina)
Kole M. Berisha (ex capo del parlamento del Kosovo, pubblicista),
Kolec Traboini (poeta, regista)
Stani laser (sceneggiatore)
Lucia Nadin (studi albanese)
Lush Culaj (storico, Pristina albanologia Institute)
Leonard Seiti poeta)
Doccia Ledia (poeta, traduttore)
Lis Bukuroca (Naser Ali) (publicista)
Lediana Stillo (poeta, traduttore)
Matteo Mandalà (Albanologo Università degli Studi di Palermo, Italia), Majlinda Bregasi (studi albanese, Università di Prishtina)
Martin Berishaj (scienze politiche, Università di Lubiana)
Mirela Kumbaro
Monica Genesin (studi albanese, Università del Salento - Lecce, Italia)
Maks Velo (pittore)
Mentor Quku (storico della letteratura)
Migena Kapllani (insegnante)
Mira Tafani (insegnante) Ndue Ukaj (critico letterario, scrittore)
Natasha Lushaj (poeta, critico letterario )
Ndue Gjika (sceneggiatore)
Nexhat Latifi (uomo d'affari) Persida Asllani (critico letterario, UT)
Pandeli Cina (medico) Preveza Abrashi (medico, Università di Prishtina)
Prend Buzhala (scrittore, critico letterario),
Petrit Palushi (sceneggiatore , un critico letterario)
Peter Tase (traduttore)
Petrit Ruka (poeta, direttore della fotografia)
Qibrie Demiri-Franc (poeta, Università di Prishtina)
Qazim Namani (storico)
Romeo Gurakuqi (storico, UET)
Rudolf Mark (sceneggiatore) Romeo Çollaku (scrittore, traduttore )
Ragip Syla (sceneggiatore) Rita Salihu (poeta, attivista)
Recep Shah (poeta, pubblicista).
Sali Bashota (poeta, professore presso l'Università di Pristina)
Skender Zogaj (scrittore, pubblicista)
Skender Buçpapaj (pubblicista)
Sabit Rrustemi (poeta)
Shaban Sinan (studioso e storico della letteratura)
Sadik Bejko (poeta)
Shaip (direttore della manifestazione "I giorni della Naim", poeta) Shpend Bang (Professore di storia dell'arte e multimedia)
Sollaku  Noah (sceneggiatore)
Trina Gojani (poeta, traduttore)
Lushi uk (scrittore, pubblicista)
Vincenzino Vaccaro (Saggista storico, Italia)
Visar Zhiti (poeta, Gran Maestro)
Vlora Baruti (musicista)
Virgil Kule (pubblicista, ricercatore)
Vladimir Beja (ex comandante della flotta)
K. Visar Berisha (medico, Università di Prishtina)
Zenel Kelmendi (ex rettore dell'Università di Pristina)
Zef Fontana (LPI)
Xhavit Beqiri (poeta, Università di Prishtina)
Ahmad Jamal (critico letterario, pubblicista).



mercoledì 27 marzo 2013

Peticion kundër rishikimit të historisë nën mbikëqyrjen e autoriteteve shtetërore turke

Peticion kundër rishikimit të historisë nën mbikëqyrjen e autoriteteve shtetërore turke

 Mercoledì 27 marzo 2013 alle ore 17.40


 dalla nota di Ndue Ukaj


Drejtuar: Presidentes së Republikës së Kosovës, Znj. Ahtifete Jahjaga Parlamentit të Republikës së Kosovës Qeverisë së Republikës së Kosovës Akademisë së Shkencave të Republikës së Kosovës Për dijeni: Presidentit të Republikës së Shqipërisë, Z. Bujar Nishani Kuvendit të Republikës së Shqipërisë Qeverisë së Republikës së Shqipërisë Akademisë së Shkencave të Republikës së Shqipërisë Kohëve të fundit në Kosovë, është hapur debati rreth “ndryshimeve të historisë” dhe nevojës për një histori të mirëfilltë kombëtare, në të cilën ngjarjet dhe personalitet do të trajtoheshin në përkim me faktet historike dhe argumentet e nevojshme multishkencore. Faktet historike dhe argumentet shkencore, janë ngjarje dhe momente jetike në historinë e një kombi. Ato s’mund të ndryshohen me ndërhyrje të jashtme, sidomos kur bëhet fjalë për marrëdhëniet mes një perandorie pushtuese dhe një kombi të pushtuar, pas një qëndrese që përbën një faqe të ndritur jo vetëm në historinë e shqiptarëve, por edhe në historinë e Evropës. Pushtimi osman shkaktoi një gropë të zezë në historinë e kombit shqiptar. Ai e ndërpreu procesin normal historik të zhvillimit të kombit tonë. Ky pushtim i shkëputi me dhunë shqiptarët nga Europa dhe shkaktoi tragjedi dhe drama të pashlyeshme në kujtesën historike të kombit. Nuk mund të pajtohemi kurrë dhe dënojmë përpjekjet e disa pseudohistorianëve dhe të segmenteve të caktuara politike, të cilat përpiqen që shekujt e gjatë të pushtimit osman t’i paraqesin si kohë të bashkëjetesës paqësore dhe të suksesshme. Pashallarët, ushtarakët, zyrtarët apo shtetarët e lartë të Perandorisë Osmane, qofshin këta edhe kryeministra që i kanë shërbyer Portës së Madhe, pavarësisht nga origjina e tyre shqiptare nuk kanë vlerë për historinë tonë kombëtare Historia e Shqipërisë nuk është një histori renegatësh dhe as histori shërbëtorësh, por histori qëndrese me në krye Gjergj Kastriotin. Është histori kryengritjesh e luftërash për liri, histori përpjekjesh për ruajtjen e gjuhës, të kulturës e të identitetit. Është histori e përpjekjeve titanike për Rilindje Kombëtare, për shkrimin shqip, histori e përpjekjeve dhe sakrificave të panumërta për liri, pavarësi dhe sovranitet kombëtar. Është histori e përpjekjes së pandalur të shqiptarëve për të jetuar të lirë me shtetin, kulturën dhe identitetin e tyre si të gjithë popujt e tjerë të qytetëruar të Europës. Përpjekja për të trilluar një histori të paqenë, me pseudohistorianë dhe pseudokomisionerë shtetërorë, të drejtuar sipas një projekti të errët politik, s’i shërben as paqes dhe as miqësisë së vërtetë mes popujve dhe as projektit të një të ardhmeje që sjell paqe, harmoni e mirëkuptim. Përpjekjet që interpretimi i historisë të bëhet në funksion të pushtetit dhe jo në funksion të së vërtetës, janë të rrezikshme dhe vënë në pikëpyetje të ardhmen tonë. Ndryshimi i historisë në formë arbitrare, duke i ardhur rreth oreksit të diplomacisë turke, krijon një precedent të rrezikshëm: pas disa vitesh edhe Serbia mund të kërkojë të shpallet vetëm një administratore në Kosovë dhe ajo të vlerësohet pozitivisht për lirinë, pavarësinë, kulturën dhe identitetin tonë. Paqja e bazuar në drejtësi është përvojë që i ka ndihmuar shumë popujve të kuptojnë të kaluarën, pa e mohuar atë, pa i fshehur ose shtrembëruar të vërtetat historike. “E vërteta është e padiskutueshme”, pati thënë Winston Churchill-i. Më të tillë shembuj është e mbushur historia e Europës dhe mbi këto premisa duhet të shkruhet edhe historia jonë. Pikërisht këtë paqe, që bazohet në të vërtetën historike, duhet ta synojmë edhe ne, që populli shqiptar dhe ai turk si popuj liridashës dhe paqësor, të ndërtojnë marrëdhëniet e tyre të miqësisë dhe të bashkëpunimit reciprok. Pikësynimi i historisë, gjithmonë duhet të jetë e vërteta dhe vendosja e së vërtetës historike në kontekstin e duhur e në përkim me parimet metodologjike që ka shkenca e historisë. Kërkesa për ndryshimin e historisë s’ka ardhur si rezultat i shtytjeve shkencore, zbulimeve dhe fakteve të reja dhe as i nevojës së interpretimeve të reja të mirëfillta shkencore, por si rezultat i trysnisë së shtetit turk mbi qeverinë e Kosovës dhe mbi disa historianë të manipuluar e të painformuar me punime të mirëfillta shkencore. E gjithë historia jonë, e shkruar nga shqiptarë dhe të huaj, dëshmon të kundërtën e asaj që ofron komisioni i ministrisë dhe ekspertëve turq për historinë tonë, sipas të cilëve periudha e pushtimit osman s’kishte dhunë, s’kishte shtypje dhe s’kishte gjenocid. Pushtimi pesëshekullor turk ka qenë i dhunshëm dhe përgjatë asaj periudhe të gjatë, ka pasur vrasje, shfarosje, dhunë të vazhdueshme, ndërkohë që shqiptarët ishin populli më i persekutuar i Perandorisë. Të mos harrojmë faktin se nga të gjitha gjuhët e të gjithë popujve të pushtuar nga osmanët, gjuha shqipe u ndalua në mënyrë të veçantë e me forcë. Mjafton vetëm ky fakt për të treguar gjenocidin e Perandorisë osmane kundër shqiptareve, kundër kulturës dhe identitetit të tyre.
Ne nuk mund t’i fshehim te vërtetat historike. Mjafton të kujtojmë përpjekjet dhe sakrificat e panumërta të Rilindësve shqiptarë për të parën shkollë shqipe laike, e cila u arrit të hapej vetëm me 7 mars 1887 në Korçë
Për fat, ndryshe ndodhi me shqiptarët jashtë kufijve të Perandorisë osmane dhe arbëreshët e Italisë që prej fundit të shekullit XVI arritën t'i çelnin në diasporë shkollat e para dhe vatrat e tyre të rëndësishme arsimore, që u bënte promotorë të të Rilindjes sonë kulturore dhe të identitetit kombëtar shqiptar. Ndryshimet e historisë, që synojnë rehabilitimin e pushtimit osman, përbëjnë një lojë të rrezikshme që hap një plagë të thellë në ndërgjegjen tonë kombëtare. Ndryshimet e historisë me ekspertë turq përbëjnë një agresion kulturor që godet shtyllën kurrizore të kombit, ato janë një fyerje e papranueshëm për shqiptarët dhe me pasoja për të ardhmen dhe identitetin e tyre. Të gjithë tashmë e dimë se çdo ndërhyrje në histori sipas skenarëve të paracaktuar politikë cenon ADN-në e kombit shqiptar. Ne kemi dëshiruar dhe dëshirojmë që marrëdhëniet midis shqiptarëve dhe turqve dhe shteteve të tyre respektive të jenë miqësore, të sinqerta dhe në interes të popujve tanë, por siç thoshte Aristoteli i pavdekshëm, “Amicus Plato, sed magis amica veritas”. (“E kam mik Platonin, por e kam më mike të vërtetën.) Në emër të së vërtetës historike, i kërkojmë qeverisë së Kosovës, Kuvendit të Kosovës, institucioneve përgjegjëse kulturore dhe akademike si dhe historianëve, që të mos e tradhtojnë ndërgjegjen e tyre profesionale dhe kombëtare, të rishikojnë këtë vendim arbitrar dhe tërësisht antikombëtar, të anulojnë punën e komisionit të përbashkët ndërshtetëror për rishikimin e historisë së Shqipërisë dhe të lejojnë historianët të bëjnë punën e tyre të pavarur shkencore, sipas parimeve dhe metodologjisë së shkencës historike dhe jo sipas interesave, urdhrave dhe vullneteve politikë të qeverisë së sotme të Turqisë.





 
Këtë peticion, sipas rendit alfabetik, e kanë firmosur këta:
Ardian Ndreca (filozof, Universiteti Urbaniana në Rome, Itali)
Anton Berishaj (kritik i letërsisë, poet, Universiteti i Prishtinës)
Akil Koci (Kompozitor, muzikolog)
Adem Gashi (shkrimtar)
Agron Tufa (shkrimtar, Universitetit i Tiranës)
Artan Shkreli (arkitekt)
Agron Gjekmarkaj (kritik i letërsisë, Universiteti i Tiranës)
Anton Gojcaj (shkrimtar)
Arian Krasniqi (dramaturg)
Aleksandër Çipa (kryetar i Unionit të Gazetareve, poet, publicist)
Agreta Gashi (mjeke, Universiteti i Prishtinës)
Antonio Gashi (violonçelist, Universiteti i Prishtinës)
Arben Rugova (gazetar, publicist)
Aida Dismondy (doktorante)
Ardian Haxhaj (shkrimtar)
Afrim Krasniqi (politolog, Universiteti i Tiranës)
Arbana. F. Xharra (publiciste, gazetare)
Avni Zogiani (aktivist i shoqërisë civile, publicist)
Albert P. Nikolla (antropolog, Universiteti i Tiranës)
Aljula Jubani (albanologe, Universiteti i Tiranes)
Angjelin Shtjefni (Universiteti i Tiranës)
Arlind Dobërdolani (student)
Anila Malile (diplomate)
Adnan Mustafa (farmacist)
Alfred Duka, avokat)
Alda Bregasi (kardiologe, Universiteti i Yale)
Asllan Muharremi (përkthyes)
Beqë Cufaj (shkrimtar, publicist)
Brunilda Ternova ( gazetare, përkthyese)
Bujar Kapllani (skulptor)
Besim Morina (historian)
Begzad Baliu (albanolog, Universiteti i Prishtinës)
Bardhyl Matraxhiu (kritik, Universiteti i Tiranës)
Bardh Frangu (shkrimtar, publicist)
Behar Gjoka (shkrimtar, studiues),
Bardhyl Londo (poet, Mjeshtër i Madh)
Blerina Suta (kritike e letërsisë, Universiteti Aleksander Xhuvani)
Donika Gervalla-Schwarz (veprimtare, publiciste)
Daut Demaku (shkrimtar)
Dorian Koçi (publicist, Universiteti i Tiranës)
Durim Çaça (poet) Eugjen Merlika (publicist, shkrimtar)
Elida Buçpapaj (poete, publiciste)
Edita Kuçi Ukaj (publiciste, përkthyese)
Entela Kasi (shkrimtare, presidente Albanian Pen Center)
Erion Hasanbelliu (inxhinier elektrik)
Franco Altimari (albanolog, zv. Rektor, Universiteti i Kalabrisë, Itali)
Femi Cakolli (kritik letrar)
Flutura Açka (shkrimtare)
Flaka Surroi (publiciste, )
Francesco Marchianò (pedagog në Spezzano Albanese Calabri)
Fahri Xharra (publicist)
Fatmir Terziu (shkrimtar, kritik arti)
Flamur Shehu (kompozitor, Mjeshtër i Madh)
Gëzim Gurga (albanolog, Universiteti i Palermos, Itali)
Giuseppina Turano (albanologe)
Gëzim Alpioni (sociolog, Universiti i Birmingham-it)
Gezim Basha (poet, përkthyes)
Gjon Berisha (historian, Instituti i Historisë)
Gjergj Filipaj (gazetar, shkrimtar)
Gjon Keka (publicist)
Gjergj Bajram Kabashi (publicist)
Halil Haxhosaj (shkrimtar, kritik letrar)
Ismail Kadare (shkrimtar)
Iris Elezi (regjisore)
Imer Mushkolaj (publicist)
Isak Ahmeti (albanolog, shkrimtar)
Ilire Zajmi-Rugova (shkrimtare, gazetare)
Irena Gjoni (poete)
Ismail Rugova (bibliotekar, përkthyes)
Jahja Drançolli (historian, ligjërues)
Jonila Godole (përkthyese, shkrimtare)
Kujtim M. Shala (kritik i letërsisë, Universiteti i Prishtinës)
Kole M. Berisha (ish kryetar i parlamentit të Kosovës, publicist),
Kolec Traboini (poet, kineast)
Lazer Stani (shkrimtar)
Lucia Nadin (albanologe)
Lush Culaj (historian, Instituti Albanologjik i Prishtinës)
Leonard Seiti poet)
Ledia Dushi (poete, përkthyese)
Lis Bukuroca (Naser Aliu) (publicist)
Lediana Stillo (poete, përkthyese)
Matteo Mandalà (albanolog, Universiteti i Palermos, Itali),
Majlinda Bregasi (albanologe, Universiteti i Prishtinës)
Martin Berishaj (politikolog, Universiteti i Lublanës)
Mirela Kumbaro (
Monica Genesin (albanologe, Universiteti i Salentos – Lecce, Itali)
Maks Velo (piktor)
Mentor Quku (historian i letërsisë)
Migena Kapllani (arsimtare)
Mira Tafani (arsimtare)
Ndue Ukaj (kritik i letërsisë, shkrimtar)
Natasha Lushaj (poete, kritike letrare)
Ndue Gjika (shkrimtar)
Nexhat Latifi (biznismen)
Persida Asllani (kritike e letërsisë, Universiteti i Tiranës)
Pandeli Çina (mjek)
Preveza Abrashi (mjeke, Universiteti i Prishtinës)
Prend Buzhala (shkrimtar, kritik i letërsisë),
Petrit Palushi (shkrimtar, kritik letrar)
Peter Tase (përkthyes)
Petrit Ruka (poet, kineast)
Qibrie Demiri- Frangu (poete, Universiteti i Prishtinës)
Qazim Namani (historian)
Romeo Gurakuqi (historian, UET)
Rudolf Marku (shkrimtar)
Romeo Çollaku (shkrimtar, përkthyes)
Ragip Syla (shkrimtar)
Rita Salihu (poete, veprimtare)
Rexhep Shahu (poet, publicist).
Sali Bashota (poet, pedagog në Universitetin e Prishtinës)
Skender Zogaj (shkrimtar, publicist)
Skender Buçpapaj (publicist)
Sabit Rrustemi (poet)
Shaban Sinani (studiues dhe historian i letërsisë)
Sadik Bejko (poet)
Shaip Emerllahu (drejtor i Manifestimit “Ditët e Naimit, poet)
Shpend Bengu (Pedagog i historise se artit dhe multimedias)
Shpend Sollaku Noe ( shkrimtar)
Trina Gojani (poete, përkthyese)
Uk Lushi (shkrimtar, publicist)
Vincenzino Ducas Angeli (shrimtar historik, Italia)
Visar Zhiti (poet, Mjeshtër i Madh)
Vlora Baruti (muzikante)
Virgjil Kule (publicist, studiues)
Vladimir Beja ( Ish komandat i flotës)
Visar K. Berisha (mjek, Universiteti i Prishtinës)
Zenel Kelmendi (ish rektor i Universitetit të Prishtinës)
Zef Gjeta ( ILB)
Xhavit Beqiri (poet, Universiteti i Prishtinës)
Xhemal Ahmeti (kritik letrar, publicist).

Vincenzo Dorsa: sulla Poesia Albanese


VINCENZO DORSA

a cura di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro

Vincenzo Dorsa nacque a Frascineto il 26 febbraio del 1823 da Francesco e Vittoria Bellusci, nipote del Vescovo Domenico Bellusci. Nel novembre del 1834 fu mandato a studiare nel Collegio di San Adriano.  Nel 1841 fu richiesto, assieme ad altri tre giovani chierici delle Colonie Albanesi  per essere educato nel Collegio della Sacra Congregazione Propaganda. Insofferente dell’ambiente di quello “ Stabilimento” vi soggiornò solo per nove mesi; suo fratello Achille così ne fa cenno nel suo manoscritto: “non vi si trattenne più di nove mesi, per aver trovato colà un ambiente contrario alle sue aspirazioni, non che alla sua salute. In quella breve dimora nella Ctttà dei sette colli ebbe l’agio di soddisfare il desiderio che più volte avea manifestato, di visitare cioè i musei dell’antica Roma; onde ne fu entusiasmato e al suo ritorno in patria scrisse le Lettere Romane, che furono pubblicate nel giornale il Calabrese di Cosenza e poi raccolte in un opuscolo, di cui si conservano alcune copie in famiglia1.

Nel 1843 studiò in Castrovillari filosofia con Don Ciccio Bellizzi e matematica con Carlo L’Occaso, non tralasciando lo studio delle belle lettere e il prediletto esercizio di scrivere in prosa e in poesia. Ordinato sacerdote di rito greco non esercitò quel minstero, preferendo insegnare Lingua e Letteratura Greca e Latina al Liceo Classico Bernardino Telesio di Cosenza. Nel contempo, essendo conosciuto nella Provincia, fu invitato ad aprire una scuola privata in Frascineto, dove ebbe come allievi i figli delle più insigni famiglie dell’Arberia: Giovanni Damis e Orazio Straticò di Lungro, Eduardo Pace di Frascineto, Vincenzo Bellusci di Platacie e Giovanni Marini di Cesare da San Demetrio Corone. Colpito da una forte attacco di bronco polmonite rese l’anima a Dio il 4 Dicembre del 1885.

Le opere: Sulla Poesia Albanese, il Calabrese 1844; Le Nozze Albanesi, il Calabrese 1844; Gi Albanesi, Ricerche e Pensier; Napoli Tip. Trani 1847; Studi etimologici sulla Lingua Albanese, Cosenza tip. Migliaccio 1862; La tradizione greco Latina nei dialetti della Calabria Citeriore, Cosenza tipografia Migliaccio 1876.

Fonti: Manoscritto di Achille Dorsa in Lidhja n.33, pag. 1166 del 1995- Lidhja n. 40 pag.1385 del 1998.



SULLA POESIA ALBANESE

(Il Calabrese - 30 giugno 1844)



Si ricordi sempre quel che troppo

i suoi predecessori abbliarono,

cioè di avere una patria, e canti

continuamente le glorie e le

sventure del suo paese.

V. Hugo



Lo studio delle cose proprie da taluni si prende a sprezzo. Io lo capisco - Eglino infetti da quel morbo che tanto avvilisce il volgo degli uomini, per cui non vede oltre la spanna, ad un debil bagliore delle cose straniere vengono subito affascinati, onde poi credono che ciò ch'è lontano interessa sempreppiù di ciò che è vicino. Il buon Diogene che filosofava per abito in ogni suo detto, dimandato quali fossero le cose migliori del mondo - quelle che vengon da fuori, rispose. Che vale a me Calabrese il conoscer delle cose di Roma, se son nuovo pellegrino nè fatti della Magna-Grecia che intorno per ovunque mi parla nè suoi dispersi rottami? E che vale a me Albanese l'esser addottrinato nelle Calabre antichità, se all'ansio viaggiatore che mi sente parlare in mezzo Italia estraneo linguaggio e mi vede tra originali costumi, io non saprò satisfare la dotta curiosità? -Ogni popolo ha le sue memorie e le sue particolarità a raccontare e studiare. -Così persuadeva a me stesso quando tolsi a scrivere qualche pensiero sulla nostra poesia Albanese. E fin d'allora mi proposi investigare, 1° qual grado percorra nel suo corso la poesia Albanese, 2° qual sia la sua natura e il suo spirito, 3° finalmente sotto quali distinzioni convenga riguardarla.

E' il principio celebrato costantemente dalla filosofia che la letteratura di un popolo cammina a pari passo col suo sviluppo sociale. Fissata una tal verità, noi facendoci col pensiero ne' tempi primitivi quando l'uomo uscì dalle mani del creatore, e poi percorrendo la curva de' secoli fino al punto in cui lo vediamo decadere dall'apice della perfezione intellettuale e far ritorno ai primi periodi della sua umanità, osserviamo tale e sì regolare fenomeno, che senza tema d'inganno direm di un popolo in particolare ciò che presenta l'uomo in generale.

L'uomo, giusta i profondi principi di Giambattista Vico e di qualunque sana filosofia, ne' primi gradi della società non parla che un linguaggio poverissimo. Nell'esprimersi quindi egli dev'essere per necessità sublime, nel concepire grave, e acuto nel comprender molto in brevi parole. Epperò il suo linguaggio va tutto composto di metafore, immagini, circolocuzioni, simiglianza, paragoni, che va raccapezzando in quella scarsezza di voci per vestire al miglio modo possibile le sue idee e presentarle. Le sue idee non sono che particolari. A giungere il grado umano quando per profonda riflessione e lunga familiarità colle arti del pensare e del parlare lo spirito acquista la forza sintetica per cui si eleva da su l'individualità e generalizza, l'uomo dee percorrere prima assolutamente i secoli dell'infanzia e della giovinezza, dee passare successivamente e per lunghi intervalli dai tre grandi stati di caccia, pastorizia, agricoltura a quello del commercio. Che anzi nell'epoca di cui tenghiam parola, egli non solo tutto individualizza, ma il mondo delle sue idee si restringe nel cielo orizzontale della propria terra.

Dietro la scorta di tali ineluttabili verità, tornando al nostro argomento, diamo uno sguardo al popolo Albanese, e analizziamo la sua poesia. -Già è a premettersi che quel popolo nè ha avuto nè ha scrittura alcuna. Confuso negli antichi tempi co' Greci, e poscia co' Musulmani, rifulse nella gloria de' primi, e si oscurò nelle tenebre de' secondi. Tra questi in barbara regione e sotto una legge che nemica taglia il corso dell'umano progresso, continuò i suoi giorni stazionario, fino a che la mano del destino facendolo lumeggiare per momenti nella propria gloria, lo divise poscia da' suoi fratelli, e lo sospinse in questa regione più fortunata. Qui da allora sentì più mite la vita; ma non pertanto perché ristretto a poche migliaia d'individui e vivente in mezzo ad una cultura straniera, non potè riscuotersi come ancora non può da quella necessaria inoperosità. Ed ecco per cui di presente se vi scorgi in esso degli avanzi d'Albania, lo confondi poi nella civiltà Italiana.

Non avendo avuto dunque una scrittura gli Albanesi, scrissero nella mente le loro memorie e le tramandarono a noi per tramandarle anche ai nostri figli. Quindi i canti e le poesie della loro età eroica sotto il famoso Scanderbek formano appunto una parte interessante della odierna poesia Albanese. E ciò di fermo, perciocchè quelle canzoni tradizionali sono i canti comuni delle feste e de' banchetti. -Ma quale è mai la loro natura, il loro carattere, il loro spirito? Noi abbiam premesso che il popolo Albanese quando le dettò era ancor giovine e si versava in mezzo le attualità di un tempo eroico, quindi scarso il suo linguaggio, particolari le sue idee, enfatiche e sublimi le sue espressioni, abbondanti le sue metafore, le sue immagini, i suoi paragoni. Sotto queste qualità ci si presentano le canzoni tradizionali di esso. Si ravvisa di fatti in generale un aria figurata all'eccesso, la quale mentre fa scorgere la povertà del linguaggio annunzia parimenti una immaginazione ardente sì ma senza legge. E per quest'ultimo riflesso vi si osserva ancora una sconnessione di parti, uno stile sempre veemente e conciso, ed una ripetizione di versi interi, sentenze, immagini, caratteristica già della poesia Omerica. -La pittura della terra d'Albania, de' costumi di quel popolo delle sue credenze, del circolo delle sue idee traspare evidentemente. Quella terra è seminata di montagne, e in quelle montagne vi abbondano gli sparvieri, le pernici, le colombe, vi biancheggia eterna la neve, vi si mostra la luna nella sua serena luce, il sole nel suo acutissimo splendore. Quindi le similitudini del labbro rosso al becco o al piede della pernice, dello sposo allo sparviere che scende dalle montagne in mezzo le colombe a scerne una bella e rapirla per sposa; quindi una bella è bianca come la neve, è splendente come la luna di Gennaio, e un vaghissimo giovine guerriero abbaglia sì come il sole quando sorge. Le donne Albanesi fan uso di grandi spille per appuntare nella chioma il velo nuziale, ne' canti epitalamici quindi la sposa vien detta spilla d'argento, capo di spilla. -Ma le strane credenze alle magie e agl'incantesimi delle fate, residuo della mitologia dell'antico Nord e della Persia, danno alle canzoni un aria veramente bizzarra orientale. si veggono personificati alla rinfusa gli oggetti inanimati e le bestie fornite di ragione e linguaggio umano. La polvere di una tomba diventa un uomo, il coperchio di quella un cavallo, e i cavalli fatati parlano, e se il oro cavaliere fu ucciso in battaglia, essi vanno alla sua Signora per annunziarli la morte gloriosa di lui. -Vi campeggia d'altronde il sentimento religioso cristiano. si va a battaglia e s'invoca l'infula di Dio e de' santi, si riesce vincitore e si ringrazia Iddio. E' la religione Cristiana che dà lo spirito religioso e non la Gentile, dappoichè le canzoni come osservammo furono composte ai tempi di Scanderbeck, ed in allora il Cristianesimo s'era già intromesso nell'Albania.

Quell'epoca è per gli Albanesi come è pe' Greci quella che ha preceduto Solone, pe' Romani il periodo avanti la Greca imitazione, per gli Arabi i tempi anteriori a Maometto, e pe' Caledoni l'età dell'Ossian. Infatti la poesia di questi popoli tutti che risale ai diversi tempi qui notati non consisteva che in liriche canzoni eroiche e in canti narrativi che celebravano le imprese guerresche e il sentimento dell'amore. Non altrimenti le canzoni Albanesi -cantano Scanderbek, Ducagino, Costantino, ecc., la gloria delle famiglie di costoro, lo sdegno e l'odio guerriero contro il Musulmano, le avventure tutte di quegli Eroi, i loro amori, e tutte dallo spirito potente che le detta paiono destinati ad incoraggiare alla guerra e a far risaltare il valore e le glorie nazionali.
 



Osservazioni sui Pelasgi e gli Albanesi di Vincenzo Dorsa

a cura di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro

Vincenzo Dorsa nacque a Frascineto il 26 febbraio del 1823 da Francesco e Vittoria Bellusci, nipote del Vescovo Domenico Bellusci. Nel novembre del 1834 fu mandato a studiare nel Collegio di San Adriano.  Nel 1841 fu richiesto, assieme ad altri tre giovani chierici delle Colonie Albanesi  per essere educato nel Collegio della Sacra Congregazione Propaganda. Insofferente dell’ambiente di quello “ Stabilimento” vi soggiornò solo per nove mesi; suo fratello Achille così ne fa cenno nel suo manoscritto: “non vi si trattenne più di nove mesi, per aver trovato colà un ambiente contrario alle sue aspirazioni, non che alla sua salute. In quella breve dimora nella Ctttà dei sette colli ebbe l’agio di soddisfare il desiderio che più volte avea manifestato, di visitare cioè i musei dell’antica Roma; onde ne fu entusiasmato e al suo ritorno in patria scrisse le Lettere Romane, che furono pubblicate nel giornale il Calabrese di Cosenza e poi raccolte in un opuscolo, di cui si conservano alcune copie in famiglia.

Nel 1843 studiò in Castrovillari filosofia con Don Ciccio Bellizzi e matematica con Carlo L’Occaso, non tralasciando lo studio delle belle lettere e il prediletto esercizio di scrivere in prosa e in poesia. Ordinato sacerdote di rito greco non esercitò quel minstero, preferendo insegnare Lingua e Letteratura Greca e Latina al Liceo Classico Bernardino Telesio di Cosenza. Nel contempo, essendo conosciuto nella Provincia, fu invitato ad aprire una scuola privata in Frascineto, dove ebbe come allievi i figli delle più insigni famiglie dell’Arberia: Giovanni Damis e Orazio Straticò di Lungro, Eduardo Pace di Frascineto, Vincenzo Bellusci di Platacie e Giovanni Marini di Cesare da San Demetrio Corone. Colpito da una forte attacco di bronco polmonite rese l’anima a Dio il 4 Dicembre del 1885.

Le opere: Sulla Poesia Albanese, il Calabrese 1844; Le Nozze Albanesi, il Calabrese 1844; Gi Albanesi, Ricerche e Pensier; Napoli Tip. Trani 1847; Studi etimologici sulla Lingua Albanese, Cosenza tip. Migliaccio 1862; La tradizione greco Latina nei dialetti della Calabria Citeriore, Cosenza tipografia Migliaccio 1876.

Fonti: Manoscritto di Achille Dorsa in Lidhja n.33, pag. 1166 del 1995- Lidhja n. 40 pag.1385 del 1998.
Scritto tratto da " Su gli Albanesi, ricerche e pensieri"
 

È riconosciuto universalmente che i Pelasgi furono il popolo più antico che sia apparso nella storia dei popoli gentili postdiluviani. Viene accertata la loro presenza nella penisola greca verso il 2000 a. C.[1], cioè pressappoco ai tempi di Abramo. È ormai acclarato che siano originari dell'oriente e abbiano vagato a lungo, come avessero avuto l'alta missione di popolare la terra. Non v'è dubbio, in ultimo, che essi furono i soli, tra i popoli gentili, a conservare delle credenze ortodosse

Alla luce dell'insieme della attuale documentazione e degli studi effettuati, sono giunto alle seguenti conclusioni: mancando altre attendibili fonti storiche in relazione al passato più remoto, la sola che vive e soddisfa è la mosaica. Accettando a priori quanto racconta, ne consegue che le origini dei popoli siano tutte da ricercare nella terra che si estende fra il Tigri e l'Eufrate, come è altresì confermato dalle tradizioni dell'Europa e dell'Asia Orientale[2]. È certo, inoltre, che le antiche credenze si mantennero più pure nei popoli che, nella dispersione dei tre rami noachidi, si stanziarono lungo le due valli del Tigri e dell'Eufrate, come gli Assiri della discendenza di Sem. La Bibbia riporta anche che le genti semitiche di Aram si spinsero a popolare il Ponto e l'Asia minore[3]; ed è indubbio che quest’ultima regione fu il primo stanziamento dei Pelasgi, nonché il luogo da cui partirono per invadere l'occidente. Dedurremo quindi, in termini generali, che i Pelasgi non furono altro che i discendenti noachidi i quali, cresciuti in gran numero nel luogo del loro primo stanziamento, si spostarono per colonizzare quelle contrade che ritrovarono quasi disabitate. Passarono perciò in Grecia e nelle regioni vicine, quindi si diramarono per l'Italia.

Chiarito ciò, resterebbe da determinare il corso di quella famosa emigrazione. Un certo numero di autori, capitanati dal Clavier, sostengono che essa abbia, in un primo momento, toccato l'Argolide, e da lì sia avanzata nell'Arcadia, poi ad Atene attraverso la Tessaglia, per poi proseguire ad occidente nell'Epiro e in Italia, e ad oriente nella Tracia fino all'Ellesponto e al Bosforo. Lo Jannelli, il Marsh ed altri sostengono, d'altronde, che la migrazione avvenne dall'Ellesponto al Peloponneso, da settentrione a mezzogiorno, e che perciò la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, l'Epiro furono occupate prima della Grecia stessa. La ragione addotta da questi ultimi è che dall'Asia all'Europa si perviene più facilmente per l'Ellesponto che dal mare. Non siamo interessati a questo problema che sembra ad altri tanto importante, ma facciamo presente che il popolo pelasgo si stabilì, dominò e impose il proprio culto nella Tessaglia, nell'Epiro e nella Macedonia, mentre nel mezzogiorno della Grecia si fuse e si disperse tra le genti primitive di quella contrada. Le regioni intorno al Pindo erano anch'esse abitate dal ramo giapetico, il quale si diresse per primo in occidente dopo la dispersione; ma il popolo pelasgico, più forte e forse più numeroso, lo vinse e, avendolo assoggettato alle sue leggi, al suo culto, alle sue tradizioni, si fuse completamente con esso, e lo stampo della nazione divenne unicamente pelasgico, da cui iPelasgi non misti che Erodoto ritrova e ravvisa in quei luoghi. Queste regioni settentrionali furono meno soggette all'ambizione e alle mire di popolazioni nomadi, e continuarono a conservare nella sua originalità lo stampo nazionale. La Grecia stessa, dominata dagli Elleni che ripresero il comando sui Pelasgi, ed influenzata da colonizzatori provenienti dalla Fenicia e dall'Egitto, ha dovuto ondeggiare tra cento governi, cento tradizioni, cento linguaggi, tanto che non ha potuto conservare che una confusa sintesi di tutti questi elementi che concorsero a formare la sua nazionalità e la sua civilizzazione. E ciò è così vero che Tucidide, Erodoto ed altri autori distinguono senza alcun dubbio gli Epiroti dai Greci[4], e se vogliamo profittare degli studi di Nicbuhr, diremo con lui che: il seme primo della Macedonia fu un popolo particolare da non considerarsi come greco o come illirico, ma, piuttosto, pelasgi[5].

Vorrei ora aggiungere una riflessione: Omero chiama barbari gli abitanti dei dintorni di Dodona, e si sa che Platone stimava ed ammirava la dottrina e la lingua dei barbari, dal momento che questo filosofo collocava in gran parte la meta dei suoi desideri nel passato, e considerava il vero progresso come un savio ritorno all'antichità[6]. Si deduce da ciò che questo termine, in origine, anziché significare popoli rozzi e incivili, indicasse piuttosto i civili ed antichi, ai tempi di Erodoto divenuti barbari, cioè non intelligibili agli Elleni[7]. M. Ballanche l'ha osservato con avvedutezza, e sostiene che la parola barbaro sia un'espressione vaga, indeterminata per indicare la sorgente oscura delle dottrine, il punto di partenza sconosciuto delle tradizioni. Tanto che, secondo lui, quando Plauto definisce il latino una lingua barbara, intende ciò in modo assoluto e non nel paragone con altre lingue[8]. A questa osservazione del dotto francese unisco 1'altra dell'illustre italiano Cesare Balbo, il quale afferma le stesse cose anche se in modi diversi: “A voler ben riflettere” dice “ci si accorgerà che la parola barbari non fu usata dai Greci in senso contrario a civili: infatti in origine non ebbe altro significato che quello della parola hostis presso i Latini, cioè un qualcosa di simile ai tre concetti con cui noi definiamo ospite,straniero e nemico, quell'ostile non noi che tutte le genti, tutte le nazioni, tutte le religioni espressero in qualche maniera, che gli Ebrei chiamano ancora oggi col termine goim, i Maomettani con gìaour, iCristiani con gentili[9]”. Inoltre Omero[10] ed altri antichi scrittori greci denominano divini i Pelasgi, cioè a dire nobilissimi. Per tutte queste ragioni, riteniamo fermamente che barbari e Pelasgi, presso i Greci antichi, erano la stessa cosa, cioè quei popoli conservatori della cultura, delle dottrine e delle lingue arcaiche, e che i barbari di Dodona furono i veri Pelasgi provenienti dall'Asia. Abbiamo fin qui parlato dei Pelasgi e della loro presenza a Dodona. Diremo ora che il popolo albanese discende direttamente da essi. E potrebbe essere definito indigeno di quel paese, se questo termine, che fino a poco tempo fa indicava una popolazione totalmente originaria del luogo da esso abitato, si potesse usare in senso più ampio, per indicare anche quella che, dopo antichissime migrazioni, rimase costantemente su quella terra, poiché è provato dalla lingua degli Albanesi che essi abitano l'Europa contemporaneamente ai Greci e ai Celti[11], ed è noto che in Albania non vi furono invasioni di barbari tali da distruggere completamente la razza antica e sostituirla con una di popoli conquistatori, con altra lingua, altra religione e costumi diversi. Questo sarebbe stato un avvenimento epocale che avrebbe destato l'attenzione della storia, considerando che si sarebbe trattato della distruzione totale di un popolo numeroso, esteso e radicato da secoli sul suolo che abita. Ma la storia non ne parla; è strana quindi la supposizione che considera gli Albanesi discendenti dagli Albani asiatici venuti dalla terra che separa il Caspio dal Mar Nero.

[1]Clavier , Hist. des premiers temps de la Grece , V. j. Laicher , Cronolog. di Erodoto T. VII. Petit.-Radei , Tav. comparativa dei sincronismi dell'ist. dei tempi eroici della Grecia Marsh. Home Pelasgicae. C. Balbo , Med. Stor.

[2] Balbo, Meditaz. Sloriche, Med. VI. J. 4.

[3] Id. op. cit, Meditaz. VI. J. 9.

[4] V. Nicbuhr , Stor. Roiu. V. I. ediz. napol. 1846. dove definisce gli Epiroti e i Pelasgi come lo stesso popolo.

[5] Idem , op. cit.

[6] Gioberti , Avvertenza del Buono.

[7] Id. Primato c. Brusselles 1844 T. II. p. 153.

[8] Orphèe , 1. Addit. Aux. Prolegoinenes.

[9]Meditaz. Stor. , Med. VII. J. 1.

[10] V. Iliad: Lib. 10. v. 429. Odiss. L. 19 v. 117

[11] V. Malte-Brun, Geograph. Univers. Liv. 118

 

lunedì 25 marzo 2013

Alberto Straticò, il Genio di Skanderbeg

 
(di Francesco Damis)
 
 Alberto Straticò nacque  a Lungro il 7 luglio 1862,da Giovanni Battista e Rachele Pisarro. Sin da giovane seguì la famiglia che si trasferì a Roma per ragioni di lavoro. A soli 23 anni, il 29 settembre 1885, pur tra personalità di ampio rilievo e capacità, molti consacrati da decenni di rivoluzioni partecipate nelle più disparate condizioni, ebbe in ragione delle sue rilevanti capacità il privilegio di pronunciare l’orazione funebre( rimastaci ) per il Patriota e poeta Vincenzo Stratigò, innanzi ad una intera popolazione, quella di Lungro e dei paesi viciniori . L’anno successivo, 1886, si iscrisse alla prestigiosa Loggia Massonica Scanderbeg di Lungro. Evidente l’aver conseguito la laurea in lettere classiche, essendo altresì apostrofato “professore”, in diversi scritti, pur ad oggi non essendoci chiaro il percorso della sua attività lavorativa iniziale, riteniamo che di lì a breve si sia allontanato dopo quel periodo verso Roma, per trasferimento per ragioni di lavoro dell’intera sua famiglia, non constando ad oggi dati diversi e più certi, mentre circa i primi anni novanta dell’800 lo si ritrova dopo alcuni anni ispettore scolastico ,Circondario di Patti, in Sicilia, mentre ancor prima tra il 1887 ed il 1888, ha rapporti con Catanzaro dove ha fatto pubblicare alcuni suoi primi scritti.
In seguito, stando a Roma ricoprì l’importante incarico di Direttore Generale della didattica al Ministero della Educazione nazionale. Ebbe rapporti con Francesco Crispi ancor prima che questi diventasse Presidente del Consiglio dei Ministri , tanto che allo Statista patriota italo albanese anch’esso delle Comunità di Sicilia, dedicò l’opera “Manuale di Letteratura Albanese” che è stata edita nel 1896.
Scrisse diversi testi di carattere storico – sociale, pedagogico e letterario. Tra le sue opere più importanti, che sono custodite in numerose biblioteche nazionali in Italia, è da annoverarsi il "Manuale di Letteratura albanese", pubblicato dalla Casa Editrice Ulrico Hoëpli di Milano nel 1896, recensita sul n. 3 del 31 gennaio 1897 di “Ili i Arbreshëvet / La Stella degli Albanesi”, diretta da don Antonio Argondizza . Aderì( meglio che partecipò) al Primo Congresso Linguistico Albanese indetto da Girolamo De Rada e tenutosi a Corigliano Calabro dal 1° al 3 ottobre 1895. Fece parte della Commissione incaricata della compilazione del dizionario albanese unitamente a Giovanni Damis, Orazio Capparelli ed altri studiosi dell’Arbëria ( giusta le risultanze e decisioni del 2° Congr.Linguistico Albanese tenutosi a Lungro,nel febb.1897)..
Per l’ambito lungrese, pur non certi anagraficamente i rapporti con gli altri Straticò, è da ritenere si possa configurare certa la parentela con gli Straticò della casa sede del vecchio Ufficio Postale in Via dei Cinquecento, in cui ancora ad oggi su due infissi esterni compaiono le iniziali “ G B S ” – Giovan Battista Straticò, tale nomandosi il vecchio Direttore dell’Ufficio postale “ don Giovanni della Posta ” quello assomigliante in modo straordinario al Re Vittorio Emanuele III, a sua volta padre, oltre che di Raffaele, Ciccio, Toria anche della Signorina Maria Straticò,non coniugata, anche essa Direttrice dell’ufficio postale andata in pensione circa gli anni ’70 del Novecento, e che nell’ordine precedeva l’ultima figlia Virginia. Si spense a Roma il 13 febbraio del 1926.
Francesco Damis agosto 2012
Opere e Monografie pubblicate
  1. In Crimea (Guerra di Crimea. 1853-1856 – Partecipazione piemontese), tip. G. Dastoli, Catanzaro 1889, 98 p.
  2. Il genio di Scanderbeg (poema), ed. R. Sandron, Palermo 1892, 16 p.
  3. Manuale di letteratura Albanese, U. Hoeëpli Edit. Serie scientifica. Milano 1896, 16, XXIV, 280 p.
  4. Di borgo in borgo, ed. V. Muglia, Messina 1897, 137 p.
  5. Nel mondo dei fanciulli: letture per la quinta classe elementare maschile, ed. Crupi & Muglia, Messina 1899, 232 p.
  6. Estensione e limiti del concetto di pedagogia, ed. R. Sandron, Milano, 292 p.
  7. Il potere d’inibizione nella fisio-psicologia e nella pedagogia, ed. D’Amico, Messina 1900
  8. Dell’educazione dei sentimenti dal punto di vista individuale e sociale, 2. ed., ed. R. Sandron, Milano 1904, VIII, 208 p.
  9. La psicologia collettiva, ed. R. Sandron, Milano 1905, 158, 36 p. (due edizioni)
  10. Pedagogia sociale, ed. R. Sandron, Milano 1907, 331 p. (seconda edizione 1914)
  11. Il corso popolare nelle scuole di Roma (direzione generale didattica), tip. Coop. Sociale, Roma 1917, 4, 75 p.
  12. Gli asili infantili: discorso letto in Gioiosa Marea (prov. di Messina) il giorno 5 giugno 1892, Festa dello Statuto, per la solenne inaugurazione dell’asilo infantile Regina Margherita, tip. Pacì, Patti 1892, 8, 23 p.
  13. Retorica e istruzione: discorso letto in Patti il 5 giugno 1892, Festa dello Statuto, in occasione della solenne distribuzione dei premi agli alunni delle scuole secondarie ed elementari, tip. Pacì, Patti 1892, 8, 25 p.
  14. Verità: conferenza pubblica tenuta in Messina il 10 luglio 1904, per incarico dell’Università popolare, tip. R. Alicò, Messina 1904, 27 p.
  15. Relazione sul riordinamento dell’amministrazione scolastica, tip. S. Morano, Napoli 1910, 8, 21 p.
  16. I grandi scrittori italiani - Manualetto ad uso delle scuole secondarie Catanzaro 1887
  17. Gli scrittori georgici italiani Catanzaro 1887
  18. Emigriamo ! - Novella - Catanzaro 1888

Vi sono anche altri scritti, da individuare nella Scheda del Sistema Bibliotecario Nazionale -SBN-.

E' singolare che in una Nota in calce al poemetto “ Il genio di Scanderbeg”,datato ” Patti 1891” l'Autore in dimestichezza con Pier Domenico Damis ,( di cui fra l’altro descrive nel Carme la figura dominante delle schiere italo albanesi alla battaglia di Capua, ”Giganteggia su la falange scatenata il Duce “, di cui alla Nota (10), identifica ”il vivente Generale Domenico Damis, vanto ed orgoglio della mia terra natale, glorioso superstite dei Mille “ ) e con cui asserisce aver corrispondenza, evidenzi il di lui pensiero in relazione ai giovani cui si sente legato, pur in età, proponendo in una missiva ricevuta tra le altre la di lui espressa considerazione che “amo i giovani... la nostra terra natale aveva una gioventù ben altrimenti operosa di mente e di cuore che non è l'odierna, salvo beninteso qualche eccezione”.E' uno dei possibili spunti per meglio penetrare il pensiero del vecchio patriota,legatissimo alla gioventù. Sul Testo Retorica E Istruzione , vi è una dedica autografa a Domenico Damis.
 
Il poema 
















Fonte: www.ungra.it