venerdì 27 novembre 2015

Albanesi nella Grecia protomedievale. Esegesi storica attraverso le cronache bizantine e cipriote

(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)



Grazie agli studi ben conosciuti degli eruditi francesi, tedeschi ed in particolar modo dei greci, gran parte degli aspetti oscuri della storia della Grecia medievale, alla fine del XIX secolo, hanno avuto degna ed inattesa luminosità.La base del loro lavoro, questo va ricordato con dovizia, sono state le notizie apprese attraverso le cronache locali, in parte andate perdute per l'invasione turca, ed il monumentale carteggio offerto dagli Archivi Veneziani, Spagnoli, Francesi ed in parte anche Italiani. Soltanto nell'isola di Cipro, ci ricorda Kostantinos Sathas, esse sfuggirono alla catastrofe dell'ira musulmana e tra queste le Cronache di Cipro di Leontoi de Macheras scritte intorno al 1320  e rivelatesi  importanti per questa indagine storica.  Il Manoscritto originale delle Cronache di Cipro,( rinvenuto ad Oxford) fu pubblicato nel 1882 da "L'Ecole des Langues Orientales Vivantes",  il cui testo greco fu curato da Emmanuel Miller e Kostantinos Sathas.


La storiografia convenzionale ha sempre ritenuto che le prime apparizioni dell'elemento albanese, nello specifico in Tessaglia, fossero avvenute intorno ai secoli XIII e XIV, fino a quando, nel 1830, la teoria di un storico tirolese, Fallmerayer, non provocò una discussione molto particolare negli ambienti degli studiosi filo ellenisti e non. Lo storico tirolese con eccessivo zelo sosteneva che l'antico elemento greco fu totalmente distrutto da un'invasione di slavi e, che dopo il declino, la Grecia fu quasi ripopolata da essi. Ma Cipro, secondo il Sathas, non fu mai invasa e conquistata dagli slavi, a meno che il Fallmerayer non abbia voluto estendere anche all'isola la distruzione dell'elemento greco. Il Sathas ha scientificamente dimostrato che questi presunti slavi non erano altro che degli Albanesi e, che i Bizantini, per ignoranza, hanno confuso con questo antico popolo.

Le oggettive contrapposizioni del Sathas hanno rivelato la infondatezza delle teorie dello storico tirolese facendola passare per semplice fantasia, dove mancano i riscontri culturali, di idioma e di costume. Nelle Cronache di Cipro, al I volume, pag 16, il Macheras scrive: "Gli Albanesi si stabilirono nell'isola intorno al IV secolo formando una casta a sè tutt'ora esistente". Continua il Sathas nella sua contrapposizione:"E' da considerare incredibile ed insostenibile ogni teoria di invasione slava in Grecia, riconoscendo nella Grecia moderna una pronunciata presenza dell'elemento albanese, soprattutto quella che la lingua albanese ha esercitato su quella greca" - continua il Sathas - "La soluzione di questa questione ci permetterà fino a quale punto l'albanese ha influenzato l'idioma cipriota e quello della Grecia tutta".
Il Fallmerayer, profondamente turbato dalla critica, irritata dalla sua infondata teoria, nel 1836 decise di recarsi personalmente in Grecia e ad accompagnarlo fu il conte russo Alessandro Tolstoj. Giunto in Morea rimase profondamente impressionato dalla preponderante presenza della lingua albanese; egli stesso scrisse in seguito:"l'intera Morea è inondata dalla parlata albenese". Arrivò nello stesso 1836, nella prefazione del II volume del "Geschichte", a scrivere: " la rivoluzione per l'indipendenza della Grecia fu una rivoluzione albanese e non dei greci". Quindi seppur pervaso da razzismo anti ellenico, probabilmente, accantonò la sua teoria.
Ad avvalorare maggiormente le sicure tesi del Sathas fu un viaggiatore inglese, Simon Simeoni che visitò la Grecia nel 1322, il quale ci ha lasciato una interessante descrizione delgi abitanti della Grecia, greci e albanesi, dove il modus vivendi era del tutto differente da quello dei loro vicini, gli Slavi; non soltanto il costume, ma anche il cappello (clamide)e la forma "de la chevelure" di questi due popoli, consanguinei e della stessa religione (ortodossa), si differenziano da quello degli Slavi. Scrive il Simeoni:"Sclavi enim sunt Boemis in lingua multum conformes...Albania est provincia inter Sclavoniam (Illyria) et Romaniam (Grecia), per se linguam habens...Ipsi enim Albanenses schismatici sunt, Graecorum utentes ritu, et eisdem habitu et gestu in omnibus conformes".
Nelle Cronache di Cipro il Macheras mette in rilievo, come sopra scritto, che gli albanesi giunti nell'isola durante il IV secolo riuscirono ben presto a creare una casta propria, imponendo a gran parte della popolazione dell'isola propri usi e costumi e relativamente, scrive il Sathas nella prefazione delle Cronache, ad influenzare anche l'antico idioma cipriota.
Stanziamenti pre-medievali di albanesi in Grecia, riconosciuti come antiche tribù dagli indigeni sono gli albanesi dell'Argolide, oggi in gran parte ellenizzati, denominati "quelli dell'Isola di Dano -Danoa- Danaoi. Un'altra antica tribù si stabilì sulle montagne di Trifilia ( Eparchia di Trifilia) e soprannominata Drèdes (Valorosi guerrieri). Antichissima tribù degli albanesi del Taigeto oggi è estinta. Essa è stata identificata da Costantino Porfirogenito con il nome di Milligoi. Un documento del X secolo rinvenuto e pubblicato nel 1865 dagli studiosi tedeschi J.Samuel Ersch e J.Gottfried Gruber, ci informa che i Milligoi non sono altro che i Mirmidoni. Tutt'oggi un villaggio in Laconia porta il nome di Meligoi. Il Sathas è convinto che i Meligoi o Miligoi provengano dai Monti del Pindo, dove in effetti vi è una tribù nomata Mirmidones.E' noto che i Mirmidoni traggano il loro nome dalla formica(murmiz), ma i Tzaconi moderni e tutti gli albanesi chiamano la formica meligoi o melingoi. Quindi sul Taigeto si stanziarono i Mirmidones o i Meligoi? Di sicuro una antica tribù albanese.
Un'altra tematica molto cara a Kostantinos Sathas fu la questione dei Mardaites. Essi non erano altro che i predecessori degli Stradioti, mercenari al soldo di Venezia ed altre potenze europee per tutto il Medio Evo. I bizantini riconoscevano le loro gesta definedole "tattica dei Mardaites", in quanto furono loro ad utilizzare per primi le tattiche di imboscata organizzata. La prima apparizione dei Mardaites al servizio dei bizantini risale all'VIII secolo, ma si conosce anche il loro stanziamento in Libano nel 677. Sull'origine dei Mardaiti si sono fatte molte congetture e l'errore principale fu quello di essere stato considerato un popolo,mentre in realtà non erano che una organizzazione militare ( tàgma tòn Mardaitòn).
Due dei più antichi cronisti bizantini hanno scritto di loro: Teofane li chiama semplicemente Mardaites, il secondo, il Patriarca Niceforo, "locuntas splitas", vale a dire "guerrieri che fanno le imboscate".
In tutto il Medio Evo si riscontra il nome dei Mardaiti in Peloponneso, a Creta, in Candia, a Tènos, a Kèos, in Cefalonia, in Epiro. In Candia ritroviamo balestrieri al servizio di Venezia i Murtatos (Crhonicum Tarvisinum 1372). I bizantini nel X ed XI secolo li chiamano Murtaitas e Murtatus. Venezia stessa annovera famiglie di feudatari di Tènos e di Creta: Mordati e Mortati, ritroviamo i Mardaiti non più come organizzazione militare ma come famiglia (Cancelleria Secreta).
Georgio Codino, in De Officialibus palati Costantinopolitani e in de Officis Magnae Ecclesiae, pubblicati da I. Bekker nel 1839, annovera nel XV secolo tra i dignitari della corte costantinopolitana, ormai alla fine, i Murtaites, i megas Murtaites e gli stratopedarchi Murtaites. Quindi anche in Costantinopoli essi da organizzazione militare diventarono famiglia di alto rango nonchè feudatari. Di sicuro furono, anche in Peloponneso dei feudatari e degli ottimi uomini d'arme e questo ce lo conferma (1103) Anna Comneno. Ella infatti ci informa che i feudatari Peloponnesiaci eccellevano nei combattimenti e soprattutto in quelli di mare.
Nei registri delle due spedizioni contro gli Arabi di Creta, i Mardaiti fornirono alla flotta imperiale, la prima volta 5087e la seconda 3000 uomini armati. Questi numeri rappresentano i contingenti forniti dai Mardaiti del Peloponneso, Epiro e Cefalonia ( Historia Miscella).
Ma chi erano in verità i Mardaiti? Avevano origini albanesi, greche o medio orientali? In definitiva i Mardaiti non furono un popolo, ma un corpo di guerrieri la cui tattica principale consisteva nell'imboscata e queste tattiche erano proprie degli Albanesi d'Albania e di Grecia. Un distretto della Ciameria ed un altro dell'Albania del nord conservano ancora il ricordo dei Mardaiti: Mirditia. Inoltre, il nome dei Mardaiti trae origine dal termine albanese marda che significa piega. Il nome non si trova oggi raro in Epiro e in Grecia, in alcune zone in Mirtidi in altre Mortati e in Grecia, nell'Eparchia di Trifilia, troviamo un antico villaggio albanese che viene denominato Mortatu. Traendo le somme, viene dedotto che il nome dei Mardaiti è uno di quelli che prima del Medio Evo giunsero in Grecia.
Un altro aspetto molto importante, comune ai due popoli, Albanesi e Greci, è la danza pirrica.
Secondo alcuni l'ideatore di questa danza militare fu il dio Curete Pirricos, secondo altri, Pirro, figlio di Achille. Questa danza, oggi dai Greci, è conosciuta come danza degli Arvaniti che dal loro canto chiamano "Bale" (con la beta). Essa di sicuro ha origine Epirote ed è stata molto in uso sotto Costantino Porfirogenito che soleva chiamare in greco antico "balesmos" degli albanesi. I veneziani la definivano "Moresca" per l'origine mauresca di alcune pantomime. Scrive G. Haecquard: "la danza degli Albanesi cretesi è una compsizione di salti...ella ha la pretesa di mimare le scene di vita...una sorta di danza chiamata "bale", in uso da questi albanesi dalla notte dei tempi".
E' deducibile, quindi, che questi antichi albanesi che giunsero in Grecia prima del Medio Evo, abbiano lasciato una traccia profonda in ogni disciplina. Sicuramente i progressi della Storia ci informeranno con più meticolosità, date, circostanze ed avvenimenti.
Esaurita questa prima parte, sperando di essere stato sufficientemente esaustivo, mi propongo di esporvi in appresso altre e  possibilmente più precise notizie.


Bibliografia essenziale:

K. Sathas Mnemeia Elleninikes Historias -Documents inèdits relatifs à l'histoire de la Grèce au Moyen Age Vol. IV, Prefazione. Paris Maisonneuve et C Editeurs 1881;


 Leontioi Makaira, Cronique de Chypre ( Testo Greco). Pubblicazione e cura di E. Miller e K. Sathas ( Ecole des Langues Orientales Vivantes). Paris, Ernest Leroux Editeur 1882;




Itinerarium Simeon Someoni Cambridge 1914 in K. Sathas o.c.;

Leonici Calcondylae, Istoriarum Demonstrationes, Budapest 1922 in K. Sathas o.c.;


 J. SamuelErsch e J. Gottfried Gruber, Encyclopedie historique Allemande. Paris 1883;

Alfred Nicolas Rambaud, L'Empire Grec au X° siécle, Costantin  Porphirogènit. Librarie A. Frank, Paris 1870.


mercoledì 25 novembre 2015

Gli Stradioti

( Vincenzino Duca Angeli Vaccaro)

Dalle giuste tesi enunciate dal Braudel, da quelle di Anselmi e di Ducellier, riguardo la trasmigrazione degli albanesi dalle montagne alla ricerca di spazi più ampi e a quella di sfuggire alla triste realtà del rigido sistema feudale  e considerando che sussiste una congiuntura di elementi che, nello specifico periodo di cui si farà cenno, hanno caratterizzato la situazione sociale ed economica della penisola Balcanica, è necessario che venga sommariamente dissertato sul fenomeno del mercenarismo degli albanesi, i quali nella maggior parte dei casi scelsero di servire le potenze straniere e in particolar modo la Repubblica di Venezia, che nel corso dei secoli che vanno da quello XV a quello XVII, erigendosi a potenza marittima nell’Adriatico, si trovò ad affrontare militarmente l’Impero Ottomano, per la salvaguardia dei suoi territori e soprattutto dei suoi commerci. Il Braudel, forse con tono molto critico, ecco come si esprime riferendosi ai mercenari albanesi: “La storia degli albanesi merita uno studio a sé. Attratti dalla ‘spada, gli ornamenti d’oro e gli onori, hanno lasciato le loro montagne principalmente per diventare soldati. Nel XVI secolo che si trovavano a Cipro, a Venezia, a Mantova, a Roma, a Napoli, e in Sicilia, e per quanto all’estero come Madrid, dove sono andati a presentare i loro progetti e le loro rimostranze, per chiedere barili di polvere da sparo o anni di pensione, arroganti imperiosi, sempre pronti a combattere. Alla fine l’Italia progressivamente chiuso le sue porte a loro. Si sono mossi verso i Paesi Bassi, Inghilterra e Francia durante le guerre di religione, soldati-avventurieri seguiti ovunque dalle loro mogli, bambini e papàs.
La  Serenissima per poter tranquillamente svolgere la propria attività commerciale lungo le coste adriatiche e ioniche, aveva bisogno di garantirsi la difesa delle sue basi navali, le città e le fortezze e,  nutrendo qualche interesse particolare, anche di alcune zone dell’entroterra della penisola balcanica. Data la ristrettezza territoriale e quindi il limitato numero di cittadini, la Repubblica di Venezia non disponeva di milizie sufficienti, atte ad assicurare la sua posizione di potenza marittima occidentale e, quindi, si pensò di porre rimedio a tale inconveniente arruolando militi fra le popolazioni indigene dei suoi possedimenti. Come già sopra accennato, ad arruolarsi furono soprattutto gli albanesi, originari da Durazzo e dalla Chimara e in maggior parte quelli che intorno alla fine del XIII secolo trasmigrarono in Grecia. Centri di reclutamento vennero istituiti a Corone, Modone e Malvasia in Morea, Nauplia o Napoli di Romania in Argolide, Candia, Cefalonia, Corfù, Cipro, Negroponte, Zante e Cefalonia.
Questa militi vennero  denominati “Stradioti.”
Molti storici, attraverso studi ben accurati, hanno trattato il fenomeno dello “stradiotismo” analizzandolo sia sotto l’aspetto antropologico che storico,  tra questi vanno ricordati Marino Sanudo, Coriolano Cippico e Filippo de Commines.  Ma a compulsare e pubblicare la storia degli stradioti sono sicuramente da annoverare il greco Costantino Sathas, che tra il 1888 e il 1890 rese edita  in nove volumi la monumentale opera : “Documents inedits relatifs à l’histoire de la Grece au myen-age e la non meno pregevole ed esaustiva raccolta dei documenti dell’Archivio veneto “ Acta Albaniae Veneta” di Giuseppe Valentini, pubblicata nel 1966 in 27 volumi.
Gli stradioti, dal greco στρατιώτες ( soldato), costituivano un corpo speciale di cavalleria leggera e le armi di cui erano dotati consistevano in una lancia chiamata “assegai” il macis, la mazza e la balestra. Così li descrive Marino Sanuto il giovane:
“Indossano mantelli e cappucci alti, alcune mute usurate, portano la lancia in mano, e una mazza, e appendono la spada al loro fianco. Si muovono come gli uccelli e restano incessantemente sui loro cavalli … Sono abituati a brigantaggio e spesso saccheggiano il Peloponneso. Sono ottimi avversari contro i turchi e sanno organizzare le loro scorrerie molto bene, colpendo il nemico inaspettatamente.  Sono fedeli ai loro padroni. Non prendono prigionieri, ma piuttosto tagliano le teste dei loro avversari, ricevendo secondo il loro costume un ducato a testa. I loro cavalli sono grandi, abituati ai disagi, corrono come gli uccelli. Gli stradioti tengono sempre la testa alta e superano tutti gli altri nella manovra di battaglia. Innumerevoli di questi stradioti si trovano a Napoli di Romagna e di altre zone della Grecia che sono sotto la signoria e che ritengono le loro città fortificate con le armature e lance”.
Secondo la maggior parte delle fonti documentate, gli stradioti , non indossavano armature, poiché di intralcio alla loro caratteristica di essere abili e veloci cavalieri, ma solo tuniche imbottite di lino o camicie di maglia. Studiosi moderni, invece, come lo Stone, ritengono, che i loro abbigliamento fosse di origine ibrida, in quanto, in quel periodo, notevole era la mescolanza degli stili militari.
La loro fama di abili cavalieri, esperti nella guerriglia, ben presto attraversò i confini della penisola balcanica propagandosi in quasi tutta Europa. Il loro stile di combattimento (attacchi improvvisi, imboscate, finte ritirate e altre tattiche poco conosciute) usciva dalle linee dogmatiche di strategia militare tradizionale ed accademica  conformandosi, sotto certi versi, alla guerriglia organizzata che Giorgio Castriota Skanderbeg mosse per un quarto di secolo contro gli ottomani, conseguendo di volta in volta, sempre maggiori successi.
Dal 1475 essi sostituirono definitivamente la cavalleria leggera veneziana venendo posti a presidiare i confini friulani. Molti altri, invece giunsero in Europa servendo le corti francese e spagnola, in particolare modo e, in Italia, oltre alla già menzionata Serenissima, furono reclutati dagli Aragonesi e dagli Sforza di Milano.
Dai documenti rinvenuti e pubblicati da Costantino Sathas, soprattutto nel 9° volume della sua monumentale opera e nello specifico in “Documenta feudatarios greco strathiotas dictos illustrantia”,risulta che la maggior parte degli stradioti era costituita da volontari Albanesi di Grecia ( Arvaniti) e solo in parte da Greci autoctoni, Dalmati, Valachi e Slavi. I reparti erano costituiti, inoltre, da un numero variabile di soldati che si aggirava dai 30 ai 300. Essi erano guidati da un comandante, che si distingueva per coraggio, valore, esperienza e godeva di grande prestigio presso i suoi sottoposti.
Si è sempre immaginato che i militi di queste truppe speciali fossero in gran parte di origine greca, ma studi moderni, hanno accertato, come la visione delle liste degli stradioti da parte di Costantino Sathas nell’opera sopra citata e gli indici dei Diari di Marino Sanuto, che circa l’80% dei nomi erano di chiara origine albanese e il restante 20% di origine greca, Valaca e Slavi del sud. Vero è che molti capi stradioti di una certa rilevanza erano di origine greca bizantina, come i Paleologhi, Spandounios, i Comneni, i Miniatis, i Kondomitis, i Spyliotis ed altri, ma essi erano una minoranza che si era ritrovata ad assumere il comando di truppe, in grazia della loro posizione di signori e feudatari dell’Argolide e del Peloponneso dove imperava Venezia. Altri, come i Soimiris, i Vlastimiris e i Voicha potrebbero appartenere a famiglie slave del sud.
Attraverso scrupolosi studi di carattere onomastico, però,  viene evidenziato che la maggior parte di questi soldati a cavallo, oltre ad avere diretta origine dall’Albania, nello specifico da Durazzo e dalla Chimara, veniva reclutata, come sopra annotato, dai vari possedimenti veneziani disseminati nella Grecia meridionale, dove fin dal XIII secolo popolazioni provenienti dal sud dell’Albania si erano insediate dietro fervido incoraggiamento dei Paleologhi, despoti bizantini della Morea, regione ormai spopolata e poco difesa dalle incursioni militari straniere.
Il motivo che di più determinò la diffusione del fenomeno dello stradiotismo nella penisola Balcanica e in Italia, può senz’altro ricercarsi nel trattamento economico a loro riservato, infatti  essi percepivano una paga  che era più bassa rispetto a quelle che venivano elargite agli altri mercenari, francesi spagnoli, svizzeri e napoletani, quindi, oltre che ottimi cavalieri, anche più convenienti, dal punto di vista prettamente finanziario. Infatti gli stradioti, pare che apprezzassero di essere ricompensati più con titoli, privilegi e concessioni di terre ( pronoia = allodio), che con alte paghe. Narrare le proprie gesta e partecipare esibendosi da protagonisti principali ad una sfilata dove poter mostrare la loro capacità di indomiti guerrieri e poter professare la loro religione ortodossa o uniata, era più importante di qualsiasi altra retribuzione e ciò si evince anche dalle poesie che alcuni di loro, come Michele Marullo, il Tracaniota e Manoli Blessi, scrissero in lingua veneta frammista a quella greca, elogiando, talvolta con punte di epica,  le avventure degli stradioti
Taluni non li hanno considerati come veri e propri mercenari, ma piuttosto come nomadi in cerca di asilo per sé e le loro famiglie, che sistematicamente li accompagnavano nelle destinazioni dove prestavano i loro servigi.
Nonostante la loro bravura nel combattere il nemico secondo lo stile Akinci (cavalleria irreoglare), venivano considerati da molti funzionari della Repubblica di Venezia  come “anticristiani, perfidi, ladri nati e potenziali traditori e “ così disobbedienti che possano farci nulla di buono.”
Alla fine del XV secolo, prospettandosi critica per la Serenissima la situazione politica e militare fra gli stati italiani e le incombenti minacce provenienti dalle potenze europee resto, truppe di stradioti furono sbarcati a Venezia per essere impiegate in eventuali conflitti armati sulla Terrafirma.  Così Marino Sanuto descrive il loro sbarco a Venezia: “Il 22 aprile ( 1482) la prima nave della cavalleria è arrivata e ha portato con sé sette stradioti da Corone, che, quando sbarcarono al Lido, sfilarono al loro modo abituale e la folla insolita si meravigliò della velocità dei loro cavalli e dell’abilità dei cavalieri.”
Non trascorse molto tempo e gli stradioti furono prontamente impiegati in battaglia dalla Repubblica di Venezia, che alleata di Milano, aveva costituito, per combattere le truppe di Carlo VIII, la Lega Antifrancese, dove militavano per la maggior parte mercenari italiani, dalmati, tedeschi e gli stradioti. Le truppe francesi, colpite dalla peste, mentre si ritiravano da Napoli furono fermate nei pressi di Parma dalle truppe veneziane e milanesi le quali, in un primo momento approvarono la marcia di Carlo VIII verso la conquista di Napoli ed in seguito, preoccupate dalla rapidità e dalla facilità con cui esse conquistarono il napoletano cercarono di ostacolare la ritirata del suo esercito. La Lega Antifrancese decise di dare battaglia all’invasore d’Oltralpe con l’intento di stanarlo e farlo recedere da eventuali altre intenti di conquista in territorio italiano. Lo scontro avvenne a Fornovo nei pressi di Parma il 6 luglio del 1495 ed ebbe un risultato incerto. Sicuro è che i francesi ebbero la possibilità di poter rientrare in patria indisturbati. Per quanto concerne gli stardioti, essi, in quel frangente, si dimostrarono più predoni che soldati a cavallo, infatti essendo sotto il diretto comando del condottiero veneziano Fortebraccio, alla vista del bottino disertarono la battaglia, volgendo il loro avido interesse a tutto ciò che il nemico aveva abbandonato sul campo, contravvenendo all’ordine impartito.
Pochi si fidavano degli stradioti che erano avvezzi al saccheggio. Il bailo veneziano di Modone, nel 1541 inviando una missiva al capitano generale di mare in Terra Firma”annotava che fra Napoli di Romania (Argolide) e Malvasia ( Peoponneso) due capi stradioti, Paolo Bua e Corcondilo Cladà, isolandosi irruppero in un campo turchesco” prelevando 250 porci, 50 bovini e più di 120 cavalli.
Il loro girovagare per l’Europa tutta, ebbe inizio con la caduta delle fortezze veneziane in Grecia. Tra i capi degli Stradioti vanno menzionati gli albanesi Bua, Cladas, Bafi, Mathes, Blessi e Plessia, Basta, Renesi, Sarri, Candreva, Braila, Baccari, Stamati, Capuzzimadio, Masi ed altri, tutti “Capitani di cavalli Albanesi.” Molti di loro, come sopra accennato, si misero al servizio dei vari potentati occidentali, altri, sia come capitani che come semplici militi, con i proventi ottenuti dai loro servigi resi alla Serenissima, con le loro famiglie e sacerdoti decisero di condurre una esistenza più tranquilla stabilendosi nelle preesistenti comunità albanesi dell’Italia meridionale dove tutt’oggi esiste una fitta rete onomastica di origine stradiotica.
Bibliografia essenziale:
K.Sathas, Documents inèdits relatifs à l’histoire de la Grèce au Moyen Age. Tom. VI. J. Barbarigo, Dispacci della Guerra in Peloponneso ( 1465-1466). Paris 1880 – 1890.
Marino Sanuto, La Spedizione di Carlo VIII in Ialia, ed. Fulin, Venezia 1883.
Philippe de Comines, Memoires vol. II , Londra e Parigi 1747.
N. Pappas, Stradioti: Balkan mercenaries infifteenth and sixteenth century Italy.- Article.
F. Braudel, La Mèditerranneè et le mond mèditerrannèen à l’epoque de Philippe II, Paris 1982 ( trad. Italiana Torino 1983).
A. Ducellier, Bisance et le monde orthodox Paris, 1986 ( traduzione taliana Torino 1987).
A. Anselmi, Schiavoni e Albanesi nell’agricoltura marchigiana, in rivista di Storia dell’Agricoltura 1976 pag. 5.
G.G.Pontano, De bello neapolitano, Napoli 1509, libro II.
I. Mazziotti, Immigrazioni albanesi in Calabria nel XV secolo e la Colonia di San Demetrio Corone, cap. V . Edizioni il Coscile 2004.
Marino Sanuto, F. Visentini 1901- I Diari di Marino Sanuto ( MCCCCXCVI-MDXXXIII) dall’autografo Marciano ital. Cl. Codd. CDXIX-CDLXXVII.