martedì 27 febbraio 2018

Albanesi nella Grecia medievale. Esegesi storica attraverso fonti Bizantine e Catalane

(di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro)

Albanesi nei possedimenti Catalani e del Despotato di Morea

Molti studiosi hanno determinato le prime migrazioni albanesi in Grecia tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 e questo perché, o mancanti della necessaria informazione storica, o perché ,  come giustamente enuncia il Ducellier, i vari nazionalismi greci, serbi e bulgari hanno volutamente occultare presenze massive di questa etnia in Grecia fin dal VI secolo. Riguardo questa tematica ho già pubblicato uno scritto prendendo in considerazione le Cronache Cipriote di Macheras che rilevano, in maniera inconfutabile, presenze albanesi nell’Ellade nel protomedievo. Quindi ritengo che le migrazioni del XIII non sono da considerare come le prime di una lunga serie.

Tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300, numerose tribù albanesi, per sfuggire alle continue lotte tra i Thopia e i Balsa, il rigoroso regime feudale imposto dagli Orsini, nonché dal giogo di una inaudita fiscalità imposta soprattutto dagli slavi, si stanziarono, attraverso i monti del Pindo, in Tessaglia e furono così tanti da saturare quasi tutte le contrade di quella regione della Grecia. Al riguardo Giovanni Cantacuzeno, imperatore e cronista bizantino cosi scrive: “Sirgianni (nei tempi di Andronico II basileus dei romei dal 1282 al1328)  traversando i Locri e gli Acarnani, si rifugiò presso gli Albani i quali abitano circa la Tessaglia;  sono essi uomini agresti, dediti alla pastorizia e vivono con le proprie leggi.

Altrove lo stesso cronista scrive: “…mentre l’Imperatore era nella Tessaglia, gli Albani che riseggono nelle montagne di quella regione, e vivono senza Re, chiamandosi Malacasi, Bovii ( Bua, Lopesi) , e Massareti dal nome dei loro condottieri, del numero di 12 mila vennero a tributargli ossequii; poiché temevano non essere distrutti dai Romani durante l’inverno; difatti non abitando veruna Città, ma in luoghi montuosi e scoscesi, pensavano poter essere facilmente oppressi in quelle montagne altissime per il freddo e per le nevi.”

Agli inizi XIV secolo altre ondate migratorie di albanesi investirono superbamente la Tessaglia denominata anche dagli occidentali come Blachia ( Valachia) e di questo ne fa chiara menzione Marino Sanudo il Vecchio in una sua relazione al Bisbe ( Vescovo) di Capua  e riportata fedelmente  nel latino dell’epoca da Rubiò y Lluch nei Diplomatari dell’Orient Català: “ Venecia, 1325. Carta de Marino Sanuto al Bisbe de Capua en la qual dòna moltes informaciones sobre els Catalans d’Atens i Neopatria.

“Deus missit hanc pestem patriae Blachiae supradictae, quia ipse miserat quodam genus, Albanensium gentis nomine, in tanta quantitate numerosa, quae gens omnia quae erant extra castra penitus destruxerunt, tam eorum quam Castellanorum fuerunt, quam etiam eorum quae tenebantur a grecis: et ad praesens consumunt et destruunt taliter, quod quasi nihil remansit penitus extra castra.Castellani et graeci fuerunt quandoque simul ad expellendum Albanenses illos, sed nullatenus potuerunt, dicitur etiam quod Albanenses illi volebant recedere a patria supradicta, silicet Blachiae, quibus recedentibus occurrebant alii ejusdem gentis plurimi, dicentes illi: < quare hinc receditis?> responderunt: < quia non potuimus hic aliquod fortilitium obtinere> quibus illi addierunt dicentes:< nolite, hoc facere, quia multi cum uxoribus et filii in vestrum adjutorum huc venimus; et ideo omnes simul ad partes Blachia redeamus >. et sic omnes pariter sunt reversi. istam invasionem Albanensium utilem fore reputo illis qui confines sunt Castellanis predictis’’.

Da questo ulteriore e validissimo documento si desume che questa ondata migratoria di Albanesi verso la Tessaglia fu notevolmente massiccia, tale da produrre, anche per motivi logistici, trasmigrazioni in altre aeree della Grecia.

A favorire tali trasmigrazioni fu senza dubbio la peste nera che, tra il 1347 e il 1348,  si è propagata in tutte le regioni dell’Impero Bizantino. In Attica e nel Peloponneso circa la metà della popolazione indigena fu decimata da questo flagello.

Intorno al 1370 gli Albanesi cominciarono ad infiltrarsi nella Beozia, nella Locride e nell’Attica, accogliendo soprattutto l’invito rivolto a loro dal Ducato Catalano di Atene e Tebe per ripopolare e rinsanguare quelle terre devastate.

Faro luminante è da considerare la ricchissima documentazione depositata nell’Archivio della Corona Aragonese di Barcellona che, nello specifico, illustra con chiarezza il fenomeno immigratorio albanese in quelle regioni che Rubiò y Lluch nei suoi Diplomatari così riporta:



Diplomatari de l’Orient Català

Lo Rey d’Aragò, a Nos es estat suplicat que volguessem atogar a tot Grech et Albanès qui vulla venir en lo Ducat de Athenes que sia franc per II anys. (Doc. DXXXVI pag.583)

Chiamiamo tutti i greci e gli albanesi che vogliono venire a stabilirsi nel ducato di Atene, concedendo loro per due anni i privilegi dei Franchi.





Diplomatari de l’Orient Català

                                                                                                             Saragossa, 31 abril 1381                                                                                                             



Pere III escriu al comte de Demetriade i als Albanesos sotmesos seus agraint-los llur defensa dels Ducats, i participant-los el nomenament de Rocaberti.

En Per etc. als noble amat e feels nostres lo comte Mitra et tots altres Albanenses habitant en lo terme de la Allada, salut e dilecciò. Plenament som informats que vos e tota l altra bona gent vostra axì com a bons e leals vassals nostres e amants la honor de la nostra corona, havets defensat los ducats nostres de Athenas e de la Patria e tots los castells e terres de nostre così Don Luis de Aragò contra los Navarros e altre enemichs nostres, la qual cosa vos grahim molt e us entenem fer gracia e mercé, confiants que ad aquì avant continuaret be e leyalment lo nostro servey. E com nos de present trametam als dits ducats lo noble e amat conseller nostre mossen Philip Dalmau vescomte de Rocaberti axì com a vicari e regidor dels ducats nostres ab plen poder, per co us dehim e manam que l dit vescomte rehebats e tingats per vicari e lochtinent nostre  e a ell obeescat e ajudets contra los dits Navarros e altres enemichs nostres, e en totes altres coses axì com a la nostra persona. E noresmenys donats fe e creença a tot ço que l dit vescomte vos dirà de part nostra, certificants vos que nos havem fet manament al dit vescomte que a nosaltres tenga en bona pau e concordia axì com a feels e amats vassalls nostres.

Dada en çaragoça a XXXI dies d abril en l any de la nativitat de Nostre Senyor MCCCLXXXI.

Rex Petrus

 Arx. Cor. Aragò, reg. 987, f. 177



Iniziò così l’espandersi delle popolazioni albanesi, agevolati nelle acquisizioni di terreni e di diritti, in altre vaste aree, sia come forza di lavoro che militare. La loro fama di essere ottimi guerrieri a cavallo e, non di meno, diligenti nell’arte della pastorizia e dell’agricoltura, venne ben presto conosciuta e in seguito apprezzata dai Paleologhi e dai vari potentati europei signoreggianti nel medio evo gran parte della Grecia.

E’ generalmente noto fra gli studiosi bizantini e greci che i despoti del Peloponneso favorirono la colonizzazione delle loro terre da parte degli Albanesi e questo fin da quando imperava Manuele Cantacuzeno (1350). Questo sicuramente fu dovuto dalle seguenti cause: incremento demografico e soprattutto relativamente la salvaguardia dell’aspetto rurale; la disgregazione dell’agricoltura e della pastorizia dovuta dalle lunghe guerre con i Latini, le rivolte civili, le incursioni dei turchi e maggiormente la peste nera, di cui già si è fatto cenno, che ha flagellato la Morea nel 1347 e nel 1383. A tal proposito Manuele Paleologo, nell’Orazione funebre dedicata al fratello Teodoro, così scrisse: “I nuovi arrivati si insediano in contrade desolate, molte di quelle sono spesso rifugio dei briganti. Nelle mani di esperti agricoltori, esse saranno diversamente piantate” (V. PANAYOTOPOULOS, Πληθυσμός καί οικισμοί της Πελοποννήσου (13ος - 18ος αιώνας), Athènes 1985)



I Paleolohi, inoltre, aspiravano alla formazione di una milizia atta a difendere il paese contro i nemici stranieri, in particolar modo i Veneziani e i Turchi e quelle frange di elementi locali che turbavano il Potere Centrale. Fin dalla metà del XIV secolo Manuele Cantacuzeno utilizzava le milizie albanesi, ma non si trattava ancora di una problematica colonizzazione massiva. Essa avvenne sotto il despotato di Teodoro, precisamente tra il 1404 e il 1406, allorquando gli emigrati albanesi raggiunsero il numero di 10.000. Tuttavia non ci è dato sapere se si trattasse di uomini atti alle armi o di famiglie.  PANAYOTOPOULOS, ibidem, 78 et suiv.  PANAYOTOPOULOS, ibidem, 81.

Grande rilievo assume la notizia attinta dagli Annali Veneti del Provveditore  Generale Stefano Magno, che numera gli Albanesi nel1453 nel Peloponneso a 30.000 unità. (ZAKYTHINOS, Despotat, II, 3. 8. ZAKYTHINOS, Despotat, II, 32. 9. ZAKYTHINOS, Despotat, II, 33. 10. PANAYOTOPOULOS, ibidem, 94. 11. Ibidem, 95. 12. Cf. ZAKYTHINOS, Despotat, II, 33.)

La maggior parte di questa popolazione si diresse verso L’Arcadia fino a Karytaina, Tegea e quei luoghi oggi denominati Lusi e quindi proseguendo verso l’Acaia, l’Elide l’Argolide e la Messenia. (ZAKYTHINOS, Despotat, II, 32 12).

Secondo lo storico greco Panayotopoulos, gli albanesi nel Peloponneso si  insediarono nelle regioni montagnose, abitando in piccoli villaggi liberi, distanti da città o da località fortificate, che non superavano il numero di 10 famiglie. (PANAYOTOPOULOS, ibidem, 94.)

Essi erano addetti principalmente all’agricoltura e alla pastorizia, altri, con regolari contratti, lavoravano le terre a mezzadria nei grandi latifondi. Tuttavia, molti di loro, venivano reputati  ottimi guerrieri e cavalleggeri, mercenari di fama in tutta la Grecia: gli Stradioti, i quali ben presto, grazie alla loro destrezza, ottennero dai vari signori onorificenze terre e denari, dando vita, così, ad una casta di feudatari a sé. Mnemeia hellenikes historia, K. Sathas vol. IV pag. 77.

Tale tematica verrà ripresa in un altro scritto essendo le argomentazioni più o meno vaste. Secondo Zakythinos, le milizie albanesi, non integrate nelle truppe regolari dell’esercito dei Despoti, erano sottoposte all’autorità dei loro capi. ( Vedi Paolo Bua, Colcondila Clada, Thomaso Lusi eccc..)  ZAKYTHINOS, Despotat, II, .

Con tutto ciò, nel corso degli ultimi anni di vita del Despotato e gli anni della resistenza veneziana, molti capi Albanesi si resero illustri nelle guerre contro i nemici dei signori Bizantini, occupando posti di rilievo nell’esercito dei despoti. Di conseguenza, si manifesta chiaramente la determinazione degli Albanesi che nel 1453 si sollevarono in rivolta contro il Despotato e le signorie locali, evento considerato come il culmine dell’antagonismo tra Greci ed Albanesi. Tutto ciò fu dovuto, senza dubbio, alla disintegrazione dell’autorità centrale nel Peloponneso e allo sfruttamento, soprattutto fiscale, da parte del Despotato e delle signorie greche. Sicuro è che, con la grande rivolta del 1453, gli Albanesi intendevano fondare un principato proprio dopo aver espulso i greci. 14. W. MILLER, Oi ηγεμόνες χής Πελοποννήσου, Νέος Ελληνομνήμων 21 (1927), 298.

Una interessante scoperta recente fatta dal Prof. Leandros Vranoussi, membro dell’Accademia e dell’Istituto di Ricerca per gli Studi Bizantini di Atene, ha messo in luce alcuni documenti bizantini, risalenti agli anni 1436-1451 dove si annoverano nomi di capi famiglia Albanesi stanziatisi nel Despotato di Morea e da esso sottoposti al pagamento dei tributi. Questa tassa dovuta al Potere Centrale viene identificata con il nome di “floriatikon” o capitoli e fondi destinati all’Examilion. Due sono i katun ossia paesi o villaggi abitati dagli Albanesi debitori che vengono citati nel documento: Palumbi e Zoga. Secondo il Panayotopoulos queste località dovrebbero trovarsi in Arcadia e precisamente nei pressi di Karithina e Lusi. Nel documento, inoltre, si evidenziano i nomi dei capi famiglia come : Zoga, Pellumbi, Suli, Dara, Conto, Sarachini, Andreas, Lata, Dragza, Damiza e altro.

Riporto un frammento del documento ritrovato dal prof. Vranoussi:

1.       Horismos du despote Thomas Paléologue

2.       ορισμός (Ι, 1. 23) [novembre], indiction [15]

3.       [fr, colonne A] [1451]

4.       f Τη έμφαν[εία τ]ου παρόντος ορισμού τ(ης) βασιλεί(ας) μου διοριζόμεθα/2 ώς άν υπ[αρ]χωσιν οΐ από τού κύρ Κώντου του Παλούμπη/3 της Κατοΰνης, δ τε Γκίνης ό δ(οϋ)λος τού Δούκα, Γ(ε)ώργ(ιος) ό Λό-/4 πεσις όστις εκεί σε, Μπούρα(ς) ό Λόπεσις ?κείσε, Με-/5 γξας ο Λόπ[ε]ο/ης έκεϊσε, Τάδος ο Γολέμης έκεϊσε,/6 Γεώργ(ιος) ό Γολέμης έκεϊσε, Μουρίκης ό Πεντένης εκείσε,/7 Βλάσιος Q Παλούμπης έκεϊσε, Μιχαήλ ό Παλού-/8 μπης έκεϊσε και "Αγγελος ό Παλούμπης όστις ένει/9 άπο τού Πούμπα καί Πέτρος ό Πούμπας έκεϊσε·/10 Ανδρ(έας) ό Λόπεσις όστις ενι άπο τού Παλούμπη και αύτ(ός)·/11 Σαρακίνη[ς] ό Μπέτζης όστις ενι έκ τού Κομ... και Μπρα-/12 της ό Τρούσας όστις ενι είς τού Τρούσα και Λάζαρος/13 ό Ζώγας, όστις ενι εις τού Ζώγα και Δήμ(ας) ό Φίλιας/14 όστις ενι είς τού Φίλια, ελεύθεροι και ασύνδοτοι της/15 δόσεως τού φλωριατικού αυτών και ουχ ειίρωσ(ιν) παρά τι-/16 νος των εξυπηρετούντων την τοιαυτην άπάρτησ(ιν)/17 τού φλωριατ(ικ)ού την τυχούσαν έπήρειαν ή διασεισμ(όν) ou-/18 χε ÇQ-ÇJ τού ένεστώτος χρόνου τοΰ φλωριατ(ικ)ού αυτών où/19 είς το εξής αλλ' υπάρχωσ(ιν) πάντη ελεύθεροι και άναπαί-/20 τη[τοι] ώς άπαξ εύεργετηθέντες τούτο παρά τής βασι-/21 λεί(ας) μου δια τού ότι όφείλωσ(ιν) έκδουλεύειν τός βασιλεί(ας)/22 μου μ(ε)τα άλογων και άρμ(ά)τ(ων) αυτών ένθα άν όρίζοντ(αι)· και είς/23 τήν περί τούτου δήλωσ(ιν) έγένετο και ό παρών ορισμός/24 τής βασιλεί(ας) μου, μηνί [vacat], (ίνδικτιώνος) [vacat]. [ipsa manu)/^ fév μην(ί) Νοε(μ)6ρ(ίω) κθ', (ίνδικτιώνος) ιε', έπαράδωκα έγώ Γεώργ(ιος) ο Λό-/26 πεσις την αυθ(εντίαν) μου τ(ον) Κώντο (νομίσματα) ρκθ'(και ήμισυ) εις τ(ον) πλάταν(ον)/27 fçv μην(ί) Νοε(μ)6ρ(ίω) ιζ' επαράδωσα έγώ Γεώργ(ιος) ο Λώπεσις/28 τ(ον) αυθ(έντην) μου τον Κωντ(ον) (νομίσματα) σιη'/29 του κ(α)τά πάντα τ(ης) ... άντιλή(ψεως) Γεωργ(ίου) γραμματ(ικ)οΰ τού Ιερακαρι/30ου από... χεσ.. δπερ ενε είς δύναμίν μου.../31 όριζε μ(ε) να σε δουλεύω ώσπερ ϊδιόν/32 μου καλόν, και οΐ χρόνοι της άντιλή(ψεως) σου πολλοί και καλοί.

Conclusione

Ho ritenuto opportuno pubblicare solo una parte della Nobile Storia degli Albanesi in Grecia in età medievale e, con precisione quella in cui popolazioni dall’Albania si trasferirono in Tessaglia per poi essere invitati a divenire colonizzatori dell’Attica Catalana e del Despotato della Morea Bizantina, omettendo la più vasta cronaca riguardante gli Albanesi nei possedimenti Veneti. Molti sono i documenti e le pubblicazioni, soprattutto riguardo la tematica veneta, per questo motivo ho deciso di scindere la trattazioni in due parti onde evitare distrazioni e disinteresse da parte del lettore.







Altre fonti documentali e bibliografiche.





Alain DUCELLIER, Les Albanais dans l'empire byzantin: de la communauté à l'expansion 17-45, in ΟΙ   ΑΛΒΑΝΟΙ ΣΤΟ ΜΕΣΑΙΩΝΑ, Atene 2015

Rubio y Lluch,( Diplomatari de l’Orient Català pag. 160)

( Cantacuzeno Historia Libro 10 cap. 6).

 Rubió y Lluch, La Població de Grècia catalana en el XIVen segle, Barcellona 1933, pag 22.

Rubio y Luch, Navarros, p.220 Cf.doc. CDLXXXIX

V. D.A. Vaccaro, Albanesi in Grecia nel protomedievo. Esegesi storica attraverso fonti Bizantine e Cipriote in La Voce dell’Arberia. 2017



Era.L. Vranoussi, Era L. VRANOUSSI, Deux documents byzantins inédits sur la présence des Albanais dans le Péloponnèse au XVe siècle 293-305 in  ΟΙ   ΑΛΒΑΝΟΙ ΣΤΟ ΜΕΣΑΙΩΝΑ, Atene 2015










venerdì 23 febbraio 2018

Onomastica degli Stradioti Greco Albanesi al servizio della Repubblica di Venezia nel XVI secolo


( di Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro )

 Dopo avere dissertato sulla presenza in età protomedievale di Albanesi in Grecia, a breve pubblicherò uno scritto riguardo il loro insediamento durante il Medio Evo  in quasi tutte le regioni e isole dell’Ellade.

 Trattandosi di un complesso di temi molto vasto, ritengo, per non fiaccare inutilmente il pur desideroso Lettore, scindere l’analisi e la descrizione grafica in più parti. E’ mio desiderio pubblicare una folta onomastica degli Stradioti, dove inequivocabilmente ci viene rilevato che grandissima parte degli Arberisht d’Italia hanno origini greco albanesi e, nel precipuo, stradiotiche. Mi sono avvalso per eseguire questa faticosa ricerca, considerato che al riguardo molto è scritto in Greco antico, dei  documenti rinvenuti dallo storico Greco Kostantino Sathas presso gli archivi veneti e riportati nella sua monumentale opera “Mnemeia hellenikes historias”.

Prima di elencare i nomi dei più importanti Stradioti Greco Albanesi, è necessario illustrare sinteticamente la loro figura e le loro funzioni.

La  Serenissima, durante il Medio Evo, per poter tranquillamente svolgere la propria attività commerciale lungo le coste adriatiche e ioniche, aveva bisogno di garantirsi la difesa delle sue basi navali, le città e le fortezze e,  nutrendo qualche interesse particolare, anche di alcune zone dell’entroterra della penisola balcanica. Data la ristrettezza territoriale e quindi il limitato numero di cittadini, la Repubblica di Venezia non disponeva di milizie sufficienti, atte ad assicurare la sua posizione di potenza marittima occidentale e, quindi, si pensò di porre rimedio a tale inconveniente arruolando militi fra le popolazioni indigene dei suoi possedimenti. Come già sopra accennato, ad arruolarsi furono soprattutto gli albanesi, originari da Durazzo e dalla Chimara e in maggior parte quelli che intorno alla fine del XIII secolo trasmigrarono in Grecia. Centri di reclutamento vennero istituiti a Corone, Modone e Malvasia in Morea, Nauplia o Napoli di Romania in Argolide, Candia, Cefalonia, Corfù, Cipro, Negroponte, Zante e Cefalonia.

Questa militi vennero  denominati “Stradioti.”

Molti storici, attraverso studi ben accurati, hanno trattato il fenomeno dello “stradiotismo” analizzandolo sia sotto l’aspetto antropologico che storico,  tra questi vanno ricordati Marino Sanudo, Coriolano Cippico e Filippo de Commines.  Ma a compulsare e pubblicare la storia degli stradioti sono sicuramente da annoverare il greco Costantino Sathas, che tra il 1888 e il 1890 rese edita  in nove volumi la monumentale opera : “Documents inedits relatifs à l’histoire de la Grece au myen-age e la non meno pregevole ed esaustiva raccolta dei documenti dell’Archivio veneto “ Acta Albaniae Veneta” di Giuseppe Valentini, pubblicata nel 1966 in 27 volumi.

Gli stradioti, dal greco στρατιώτες ( soldato), costituivano un corpo speciale di cavalleria leggera e le armi di cui erano dotati consistevano in una lancia chiamata “assegai” il macis, la mazza e la balestra. Così li descrive Marino Sanuto il giovane:

“Indossano mantelli e cappucci alti, alcune mute usurate, portano la lancia in mano, e una mazza, e appendono la spada al loro fianco. Si muovono come gli uccelli e restano incessantemente sui loro cavalli … Sono abituati a brigantaggio e spesso saccheggiano il Peloponneso. Sono ottimi avversari contro i turchi e sanno organizzare le loro scorrerie molto bene, colpendo il nemico inaspettatamente.  Sono fedeli ai loro padroni. Non prendono prigionieri, ma piuttosto tagliano le teste dei loro avversari, ricevendo secondo il loro costume un ducato a testa. I loro cavalli sono grandi, abituati ai disagi, corrono come gli uccelli. Gli stradioti tengono sempre la testa alta e superano tutti gli altri nella manovra di battaglia. Innumerevoli di questi stradioti si trovano a Napoli di Romagna e di altre zone della Grecia che sono sotto la signoria e che ritengono le loro città fortificate con le armature e lance”.

Secondo la maggior parte delle fonti documentate, gli stradioti , non indossavano armature, poiché di intralcio alla loro caratteristica di essere abili e veloci cavalieri, ma solo tuniche imbottite di lino o camicie di maglia. Studiosi moderni, invece, come lo Stone, ritengono, che i loro abbigliamento fosse di origine ibrida, in quanto, in quel periodo, notevole era la mescolanza degli stili militari.

La loro fama di abili cavalieri, esperti nella guerriglia, ben presto attraversò i confini della penisola balcanica propagandosi in quasi tutta Europa. Il loro stile di combattimento (attacchi improvvisi, imboscate, finte ritirate e altre tattiche poco conosciute) usciva dalle linee dogmatiche di strategia militare tradizionale ed accademica  conformandosi, sotto certi versi, alla guerriglia organizzata che Giorgio Castriota Skanderbeg mosse per un quarto di secolo contro gli ottomani, conseguendo di volta in volta, sempre maggiori successi.

Dal 1475 essi sostituirono definitivamente la cavalleria leggera veneziana venendo posti a presidiare i confini friulani. Molti altri, invece giunsero in Europa servendo le corti francese e spagnola, in particolare modo e, in Italia, oltre alla già menzionata Serenissima, furono reclutati dagli Aragonesi e dagli Sforza di Milano.

Dai documenti rinvenuti e pubblicati da Costantino Sathas, soprattutto nel 9° volume della sua monumentale opera e nello specifico in “Documenta feudatarios greco strathiotas dictos illustrantia”,risulta che la maggior parte degli stradioti era costituita da volontari Albanesi di Grecia ( Arvaniti) e solo in parte da Greci autoctoni, Dalmati, Valachi e Slavi. I reparti erano costituiti, inoltre, da un numero variabile di soldati che si aggirava dai 30 ai 300. Essi erano guidati da un comandante, che si distingueva per coraggio, valore, esperienza e godeva di grande prestigio presso i suoi sottoposti.

Si è sempre immaginato che i militi di queste truppe speciali fossero in gran parte di origine greca, ma studi moderni, hanno accertato, come la visione delle liste degli stradioti da parte di Costantino Sathas nell’opera sopra citata e gli indici dei Diari di Marino Sanuto, che circa l’80% dei nomi erano di chiara origine albanese e il restante 20% di origine greca, Valaca e Slavi del sud. Vero è che molti capi stradioti di una certa rilevanza erano di origine greca bizantina, come i Paleologhi, Spandounios, i Comneni, i Miniatis, i Kondomitis, i Spyliotis ed altri, ma essi erano una minoranza che si era ritrovata ad assumere il comando di truppe, in grazia della loro posizione di signori e feudatari dell’Argolide e del Peloponneso dove imperava Venezia. Altri, come i Soimiris, i Vlastimiris e i Voicha potrebbero appartenere a famiglie slave del sud.

Attraverso scrupolosi studi di carattere onomastico, però,  viene evidenziato che la maggior parte di questi soldati a cavallo, oltre ad avere diretta origine dall’Albania, nello specifico da Durazzo e dalla Chimara, veniva reclutata, come sopra annotato, dai vari possedimenti veneziani disseminati nella Grecia meridionale, dove fin dal XIII secolo popolazioni provenienti dal sud dell’Albania si erano insediate dietro fervido incoraggiamento dei Paleologhi, despoti bizantini della Morea, regione ormai spopolata e poco difesa dalle incursioni militari straniere.

Il motivo che di più determinò la diffusione del fenomeno dello stradiotismo nella penisola Balcanica e in Italia, può senz’altro ricercarsi nel trattamento economico a loro riservato, infatti  essi percepivano una paga  che era più bassa rispetto a quelle che venivano elargite agli altri mercenari, francesi spagnoli, svizzeri e napoletani, quindi, oltre che ottimi cavalieri, anche più convenienti, dal punto di vista prettamente finanziario. Infatti gli stradioti, pare che apprezzassero di essere ricompensati più con titoli, privilegi e concessioni di terre ( pronoia = allodio), che con alte paghe. Narrare le proprie gesta e partecipare esibendosi da protagonisti principali ad una sfilata dove poter mostrare la loro capacità di indomiti guerrieri e poter professare la loro religione ortodossa o uniata, era più importante di qualsiasi altra retribuzione e ciò si evince anche dalle poesie che alcuni di loro, come Michele Marullo, il Tracaniota e Manoli Blessi, scrissero in lingua veneta frammista a quella greca, elogiando, talvolta con punte di epica,  le avventure degli stradioti.

Così si esprime Coriolano Cippico che ebbe modo di conoscerli personalmente:

“Perciocchè i Veneziani per tutte le città della Morea che sono sotto dominio tengono al loro soldo molti Albanesi a cavallo i quali con nome Greco si dimandano Stradioti, uomini di gran cuore e da far ogni grande impresa…….Più valorosi di tutti gli altri sono quei di Napoli di Romania, la quale è città della Morea nel territorio degli Argivi”



Sapientes super rebus Naupliensum et Monovasiensum

Stradioti a Napoli di Romania e Malvasia 30 Aprile 1541

-Reposio Busichio, Georgio Gherbesi, Paulo Bua, Domenego Candreva, Francesco Manassi, Cesare Bua, Guma Bua, Todaro Bua, Andrea Bua, Nicola Suli, Todaro Criobardi, Gigni Zamanda, Chiurca Candreva, Micha Lusi, Giani Renessi, Zorzi Golemi, Zorzi Busichi, Lecha Lusi, Andrea Bodea, Carlo Varibopi, Guma Bucura, Nicola Peta, Todaro Bacaro Recuni, Nicola Dorangriza, Zorzi Chiurchi, Gigni Laluca, Anargiro Gerbesi, Alessio Gambiera, Todaro Masi, Gigni Clossi, Nicolò Gambiera, Micha Grisumbula, Giorgio Masci, Calenzi Clossi, Alessio Materanga, Dima Calenzi, Nica Lopesi, Stefano Busi, Thomaso Lusi, Zuan Plessa, Dima Golemi, Zorzi Lusi, Zorzi Sarachini, Guma Lusi, Nicolò Lusi, Nicola Bacari, Poaolo Caparelo. 1

Stradioti a Corfù 1540

-Thurra Gerbesi, Chiurca Prifti, Nicola Dorosi, Gjoni Suli, Andrea Cortesi, Nicola Cortesi, Ianni Calenzi, Vreto Caparelli, Gigni Casnessi, Nicola Toschesi, Zuan Schiadà.2

Stradioti a Sibinico 1541

-Pietro Frassina, Dimitri Franga, Dimitri Bosichio, Todaro Frassina, Zuan Frenga, Luca Masarachi, Vreto Cuci, Antonio Comi, Nicola Clissirioti, Piero Condo, Mica Crapsi, Zorzi Brescia, Bardi Calenzi, Stamati Scura, Zuan Licuressi, Georgio Spatta, Nicola Spatta, Nicolò Sgura.3

Stradioti in Cefalonia 1541

-Dimitri Psari, Michaili Spilioti, Nicolò Paleologo, Georgio Schirioti, Gigni Barci, Luca Masaracchi, Pietro Schiadà, Zuan Plessia, Zuan Uniari, Stamati Frate, Vreto Bacari, Zuan Uniari, Gjoni Prifti, Arniti Prifti, Nicola Toccia, Lecca Toccia, Dima Suli Marco, Zorzi Panariti, Dima Manariti, Lecha Gangadi, Dimitri Tripoli, Pietro Cuccia, Dimitri Cucci, Lecha Barsi, Nicolò Bulgiasi, Pietro Calimà, Piero Darda4

Stradioti in Dalmazia 1540-1545

Vreto Bosichio, Alessio Grimani, Stamati Lusi, Dimitri Rali, Zuan Rensi, Zuan Barbati, Georgio Busichio, Nicolò Candreva, Alessio Gangali, Mercurio Capareli, Zuan Renesi, Zuan Clossi, Luca Calambressi, Andrea Petta, Pietro Cuzzi, Stefano Blumetta, Paolo Frasciva, Marco Bularo.5

Stradioti in Candia 1540

-Domenego Licuressi, Andrea Cursi, Vettor Busichio, Lazzaro Grimani, Paolo Osnato, Piero Busichio, Antonio Bacaro Stratioto, Hettor Renesi, Teodoro Nemojanni, Nicolò Renesi, Giani Golemi, Zorzi Bua, Paolo Dorangricchia, Domenego Murmuridia, Dimitri Cutuvali, Pietro Candreva, Piero Lopesi, Nicolò Clada, Andrea Potamiti, Dimitri Borsa, Dimitri Dorsa, Zuan Strusa, Paolo Criesio, Andrea Crisia.6

Stradioti in Malvasia 1538

-Marco Antonio Stratigi dell’isola di Thine, Leo Straticò, Dimitri Crisia, Antonio Sevasto, Costa Chelmi, Zuan Calimani, Piero Gangali, Teodoro Bacaro, Zorzi Lata, Andrea Chelmi, Andrea Plesia, Vettor Frati, Michele Lata, Progavo Bua, Andrea Chenegò, Dimitri Curbi, Michele Luci, Stamati Lusi, Tomaso Lusi capitano di cavalli, Vreto Franga, Andrea Canadeo, Nestor Frasino, Anargiro Matinò, Leon Stratego Paleologo, Zorzi Lata, Cavallari Dara, Tomaso Doriza, Zuan della Morea, Duca Picherni, Condo Chelmi.7

Dispacci della guerra di Morea, Volume VI°

Stradioti

Petrus Bua, Alexius Bua, Ginius Bua, Michaili Rali Magnus, Michaili Rali Drimi, Epifanio Clada, Corcondilas Clada, Peregrinus Caparelo, Peregrinus Bosichio, Comino Glava, Zorzi Busichio, Camusa Bua, Teodoro Bua, Mexa Busichi, Casnessi Climendi, Gjni Blessa, Marin Climendi, Jacopo Frasina, Martin Lopessi, Andrea Spataro, Mathio Flocha, Zuan Musachi.8
K.Sathas, Documents inèdits relatifs à l’histoire de la Grèce au Moyen Age. Tom. VI. J. Barbarigo, Dispacci della Guerra in Peloponneso ( 1465-1466). Paris 1880 – 1890.
K. Sathas op.c Vol 8
K. Sathas op.c. Vol.9
K. Sathas op.c vol.6
K. Sathas po.c. vol. 5
Coriolano Cippico, "Della guerra dei Veneziani nell'Asia ( 1470-1474) Venezia 1769 pag. 10
Marino Sanuto, F. Visentini 1901- I Diari di Marino Sanuto ( MCCCCXCVI-MDXXXIII) dall’autografo Marciano ital. Cl. Codd. CDXIX-CDLXXVII.

Breve cenno monografico del Comune di Lungro 1858

 ( DOMENICO DE MARCHIS)

Riprendendo il filo delle mie idee, espongo che una tradizione costante, e non mai smentita sostiene, che solo 17 famiglie componevano l'intera Colonia Albanese ricoverata nel Casale di Lungro, i di cui cognomi sono i seguenti. Straticò, Mattanò, Jerojanni, Cagliola, Belluscio,  Prevatà, oggi Loprete, Baccaro, oggi Vaccaro;  Musacchio,  Brescia, Damisi,  Gramisci, Manisi,  Marco, Cortese  Tripoli   Cucco, oggi Cucci  Bavasso  Matranga, oggi Matrangolo. Esse si dessumono ben'anche dal libro Parrocchiale dei nati, e morti del 1669  che il solo Curato D. Pietro Cortese ebbe talento di redigere, mentre pria di tal epoca, i suoi antecessori vi trassandarono un lavoro di tanta importanza.

Gli altri cognomi di famiglie esistenti oggi nel Comune, parte sono di Albanesi posteriormente ivi traslocate, tratti forse dalla speranza di un vivere più agiato, e parte da considerarsi di origine italiana, le quali coll'uso ebbero Albanese desinenza.

Ma quel che comprime l'animo di una sentita ammirazione si  l'osservare come 17 famiglie se si vuoi aggiustar fede alla tradizione, ed al Parrocchiale registro, oppure sessanta tuguri esistenti in tempo di Geronimo Sanseverino, abbiano tanto prevaluto su gl'indigeni del Casale, da far sparire la loro lingua natia, e render dominante il greco rito, ed il proprio idioma. Nianche la possanza di un feroce Conquistatore avrebbe raggiunto questo scopo completo verso un popolo schiacciato, ed invilito dalla forza; poichè la forza istessa non ha potere di spegnere il breve tratto gli usi della propria nazionalità per rivestire quelli della gente ospitata! Conviene supporre, che gli antichi abitanti di Lungro costituissero un assembramento troppo ristretto di Cittadini, i quali vivendo sotto le moltiplici angarie del Barone di Altomonte, pria di passare alla mite giurisdizione dei Basiliani, rinvennero in questa causa un insormontabile ostacolo al loro progressivo aumento: Oppure che il Napolitano intento a serbare l'unità di famiglia, prediligge nel domestico regime il sistema di una quasi prima genitura, e vago di non veder distratto con spesse divisioni il proprio retaggio, si consiglia dare situazione ad uno dei figli, raffermare la sua fortuna, ed astringere gli altri a dover cospirare al Comun vantaggio - Gli Albanesi d'altronde pervennero nel Casale, quando i Monaci Baroni, con religiosa carità dominavano su i propri vassalli. Dippiù, essi non tanto facilmente si piegano al Celibato, ed una costante esperienza addimostra, che se in famiglia vi sono più maschi, tutti abbracciano lo stato Conjugale, onde aprire separata economia. Vi si arroge ben'anche la libertà del Matrimonio dei Preti, esclusivo privilegio dei greci, di cui tuttavia se ne avvalgono;  presumibile che han potuto tali Cause complessivamente influire alla decrescenza degli indigeni, ed all'incremento degli Ospiti stranieri in quel Sito stanziati.

Comunque sia, egli  fuor di dubbio, che gli Albanesi prosperando in straordinario modo, vi erigevano nel 1517 una Chiesa Parrocchiale, onde esercitare nel proprio rito le sacre funzioni, e la dedicavano al Protettore S. Nicola di Mira, forse in rimembranza della Cattedrale di Alessio, ove furon deposte le ossa del loro principe Scanderbek, ed il Cittadino Sacerdote D. Antonio Cortese, il quale viveva nell' anno 1608, a sue spese fondava un piccol Monastero poco distante dall'Abitato, e lo apriva ai PP. Carmelitani, assegnandoli in dotazione molti beni, ora devoluti ai Domenicani di Altomonte, come lo attestava una iscrizione esistente in quella Chiesa, non che il Rodotà nel libr. 3 pag. 88 della lodata sua Opera- E finalmente nel 1678 gli Albanesi di Lungro eran pervenuti a tale stadio di sociale fermezza, da imprendere arditi, e tenaci la difesa del proprio rito contro il Pescara Duca della Saracena, fino a riportare completo trionfo dalla Santa Sede, come il ridetto Scrittore espone nel citato libro - E noi proveremo fra poco perchè questo Duca spiegava la sua Baronale giurisdizione sul Casale di Lungro.

Il territorio Badiale diviso dal fiume Tiro da quello della Saracena ora troppo angusto ad offrire tutti i mezzi da sussistere alla popolazione, la quale da anno in anno progrediva nel suo incremento, quindi fuvvi astretta ad impetrare da quel Barone del le terre a dissodare, onde renderle proficue all'agricoltura - Ottenne infatti delle concessioni sotto svariati titoli riconosciuti dalla legge, e mentre il Feudatario da un canto ritraeva il suo utile nell'aumento della rendita, gli Albanesi dall'altro laboriosi, e robusti per natura fertilizzarono una vasta Contrada , quasi tutta irrigabile, da cui proventarono col tempo immensi vantaggi - Nel successivo poi, essi addivennero assoluti padroni tanto in forza di definitivi acquisti, e di enfïteutiche Censuazioni, quanto per dritti conseguiti dalla Divisione Demaniale.

Per la Conservazione, e buona guardia di tai beni, gli abitanti di Lungro con Istrumento redatto nell'anno 1622, munito di Regio Assenso, per Notar Marco di Rago del Comune di Altomonte, acquistarono dall'Università di Saracena la buona-tenenza , che fedelmente corrisposero fino alla abolizione della feudalità - Ma vero il fatto, perchè non dubbia l'esistenza del titolo, non comprendo come al cospetto della Commissione siasi ommesso il reclamo della liquidazione della stessa ond'esssere obbligato il Barone a rivalere il Comune -del corrispondente indennizzo. Si sarebbe almeno conseguita una compensazione con le decime Coloniche, a cui furon tassati i Lungresi a prò del feudatario. Ma al fatto compiuto, non vi rimane altro rimedio da sperimentare.

Onde fissare poi con ogni precisione, chi spiegava sul Comuno la Civile, e mista giurisdizione, emmi d'uopo esporre alcune storiche conoscenze, che come tante prenozioni, si rannodano nell'unità del presente racconto.

Estinta forse la stirpe del Conte Ogerio, oppure per effetto di altri avvenimenti; che non ci fu dato poter dischiudere dalla tenlebria dei Secoli, il feudo di Altomonte pass� a Filippo Sanguineto e nel 1340 ottenne il Diploma d'investitura da chi imperava allora i destini del Regno � �Fit f�des per subscriptum rev. D. Josephum Antonium Sicola regelltem archivarium Magnae Curiae Regiae Siclae a sua Catholica, et Caesarea Majestate cunstitutum, qualiter perquisito registru Serenisimi Regis Roberti, sigillato de anno 1340, legitur Concessio facta inl beneficium Fhilippi de Sancineto Terrae Brahallae cum homnibus Vassallis etc. etc. reservatis tamen in belleficium Regiae Curiae in terra ipsa Causis Criminalibus, pro quibus corporalis paena mortis videlicet, vel abscissionis  membrorum, aut exilii debebit inferri etc. etc.

Da questo novello Barone cui passar del tempo ne rimase erede una sola donnadli nome Margherita, la quale impalmava a Consorte Vincislao Sanseverino Principe di Bisignano - Pietrantonio, discendente da si nobile stirpe vendeva nel 1531, con istrumento per Notar Andrea Parascandolo di Napoli nel 22 dic. e ratificato il 10 settembre 1532, alla Casa Pescara i suoi feudi di Malerose, Serra della Giumenta, Leone Russo, nonch� i carlini tre per fuoco, che corrispondevano gli abitanti del Casale di Lungro, a motivo della fida, erba, e legna nei territori di Altomonte, e Saracena, ritenuti quasi come Cittadini di detti Comuni, una con la giurisdizione Civile e mista del Casale su riferito.

Nel 1546, lo stesso principe di Bisignano oppose d'innanzi al Regio Reintegratore Sebastiano della Valle, che qual Barone della Saracena intendeva oppugnare, che M. Innico Caracciolo, Abbate Commendatario di S. Maria ad Fontes di Lungro, come i naturali del medesimo, nessun dritto di Cittadinanza vantavano sull'agro della Saracena, per lo che si accesa acre litigio a 25 gennaio di quell'anno nel Palazzo della Terra di Morano, ove si divenne al definitivo decreto, e tra le altre notevoli espressioni della dispositiva, sono rimarcabili le seguenti �Et dictam Universitatem Lungri, et homines dicti Casalis licite potuisse, et posse habere Comunitatem in territorio Terraa Saracenae, et licuisse, et in futurum licere posse eorum animalia pascere, aquare, pernoctare in dicto territorio terrae Saracenae ac ligna incidere et facere omne illud, quod ipsis Civibus Saracenae facere licet in dicto territorio juxta formam Platae nove - Reg. Aud. Sebastian. La Valle decrevit� Vedi Processo del Sacro Regio Consiglio tra D. Martino Innico Caracciolo Abbate Commend. di Lungro, e il Principe di Bisignano dal foglio 25 e seguenti nella Banca di Auriemma, Scrivano de Rosa.

Dal riscontro di tali documenti colsi il destro di osservare in primo luogo, che sin dal 1612, la terra della Saracena faceva parte del patrimonio di Bisignano, poich� nel giorno 30 agosto detto anno, si scorge interposto Decreto di Assenso per la vendita ad estinto di Candela, e pel valore di ducati 45 mila a beneficio del Duca di Laurenzana. Ed in secondo, che il Casale di Lungro nel 1516 assumeva di gi� il nome di Universit�, prerogativa che le accordava il dritto di eliggere nel proprio seno i suoi amministratori; ordinare il particolar catasto, e disporre delle rendite a norma dei Comunali bisogni. Ci� si rileva dalla dicitura di Sebastiano della Valle nel s� nominato decreto, ove si esprime �et dictam Universitatem Lungri.

Dietro lo svolgimento di centosettantacinque anni, D. Francesco Pescara Duca della Saracena con istrumento del 20 gennaro 1716 per gli atti di notar Gennaro Palomba di Napoli alienava a favore della casa Spinelli principe della Scalea i Fondi, giurisdizione, e dritti, che i suoi illustri antenati acquistati avevano nel 1531 dal principe di Bisignano, una cum Palatio qui condidit in oppidu Lungri Exellentissmo Pescara1. Ma sia per effetto del ritratto convenzionale, o del patto di non alienare apposto nell'istrumento del 1531 imponente la devoluzione a beneficio del Venditore Bisignano , egli � certo che un di costui erede introdusse avverso la casa Scalea impegnoso giudizio di pattuita prelazione nel Sacro Regio Consiglio, il quale ben accogliendo l'istanza, ne sentenziava la dietro vendita. Alla ostinata renitenza del Convenuto, per biglietto del Conte Daun, allora Vice Re di Napoli, destinavasi la persona del giureconsulto Nicol� d'Afflitto a formolare in nome del ritroso Spinelli il legale istrumento a pro di D. Giuseppe Leopoldo Sanseverino, previa assistenza del reggente de Miro. Nel 1717 il titolo ebbe la sua conferma col privilegio del reale Assenso nell�8 marzo, registrato in privilegio 25 fol. 92  a terg., ed i s� feudi Serra della giumenta, Leone Russo, Malerose, non che i dritti sulla giurisdizione di Lungro, ed i carlini 3  a fuoco gravitanti sul Casale rientrarono sotto il dominio del pristino Barone. Furono ritratte queste notizie dal processo del Sacro Regio Consiglio, che leggesi epigrafato nel tenore seguente. Sacri Regii Consilii Illustrissimo principi Bisiniani, cum illustrissimo principe Scalae super praelatione terrae Saracenae, et Casalis Lungri, et aliorum Corporum, nella Banca di Priscolo, scrivano de Rosa.

Non fia discaro ora ai miei emeriti compatriotti, ai quiai unicamente offro, e consacro queste poche pagine, di riflettere donde derivarono i dritti civici, che il nostro comune vantava al cadere del gigante feudale, s� i limitrofi territori di Altomonte, e Saracena, e quindi in compenso dei medesimi, ebbe l�assegno delle terre demaniali, che in atto possiede, ed esser cos� alla portata di ben giudicare s� gl�immensi vantaggi conseguiti dai sudditi del Regno colla avversione delle baronali angarie.

Impresso un ordine cronologico ai tempi, che influirono a svariare lo dominazioni Feudali nel Comune, agevole si rende lo sviluppo del proposto problema intorno alla giurisdizione, che mi ho prefisso di schiarire.

Il Conte Ogerio, avendo dismembrato il feudo di Altomonte, di cui era assoluto Signore, di una cospicua estensione territoriale a norma dei confini distinti nel diploma di concessione, ne fece generosa largizione al monastero dei Basiliani, quindi gli abbati spiegavano nel Casale di Lungro ogni atto di giurisdizione appartenente al feudatario. �Volumus mbilominus, ut monasterium, et homines suos a violentia bajulorum nostrorum possint cum rebus eorum defendere, et salvare, ut nunquam teneantur, uis monasterio respondere et in Curia monasterii judicare exsceptis de Criminalibus, quae ad Curiam Regis perlinent etc. etc.� In tal guisa, a malgrado che Lungro fosse un Casale dipendente da Altomonte come madre patria; pure cambi� condizione, ed invece di prestar vassallaggio al conte di Bragalla, ubbidiva al solo abbate del monastero.

Devoluta la Badia alla Sede Pontificia, gli Abbati Commendatori investiti degli stessi Feudali privilegi, che eran annessi al monastero, esercitavano su gli abitanti l'impero Civile, e misto. Allorch� per� Diego da Pescara, come avente causa dal principe di Bisignano, infieriva contro gli Albanesi del Casale, aveva di gi� ottenuto in linea di apposito giudizio acremente dibattuto innanzi al Sacro Regio Consiglio, la giurisdizione penale, quindi i Commendatori della Badia rimasero ristretti al solo impero Civile. Non per effetto di allogazione dunque, come alcuni sostengono; ma per virt� di vittoria riportata nel supremo Tribunale, spiegava il Pescara il dritto dell'impero Criminale, privilegio che venne ad immedesimarsi nel principe di Bisignano, dopo ricuperati i su' feudi dallo Spinelli nello esperimento del litigio di prelazione.

Nel 1786, si avvidde il Real Governo, che varie Badie del Regno, devolute nei trascorsi tempi alla Santa Sede, eran prive di Regio exequatur, quindi furon tutte dichiarate di Regio jus patronato, e come alcune di esse il Sommo Gerarca le avea assegnate in Commenda a' Cardinali Napolitani, si dispose come grazia impartita alla Sudditanza, che durante la vita degli attuali beneficiati, fruissero i medesimi la rendita; ma che avverato appena il loro decesso, il Regio Fisco s'impadronisse, onde disporre il Sovrano a suo talento. Tra queste Badie s'annoverava anche quella dei Basiliani di Lungro, in quell'epoca posseduta dal Porporato Stigliani, il quale ne protrasse il godimento sino alla sua morte.

Dietro questa rapida esposizione, si comprende, che i Governatori locali del Comune eran prescelti nel tempo del Monastero, dall'Abate Basiliano; e dopo il 1225 , dai rispettivi Commendatori: Al cessar di sua vita dell'ultimo di essi, dal Re, investiti per� della sola giurisdizione Civile, mentre per la penale si stava soggetto al Giudice di Altomonte di Nomina Baronale. Egli destinava in Lungro un Luogo-Tenente per assodare le prime indagini dei reali, del pari che dei stipendiati barrigelli intenti alla esecuzione della giustizia - Lo stesso Barone erigeva da tempo remoto le prigioni per la custodia dei detenuti, le quali eran site vicino alla vecchia Chiesa Parrocchiale, oggi convertita in Casa Palazziata.

Quando l'organismo giudiziario subiva nel nostro regno caduto in potere dei Francesi, un novello sistema, Lungro venne designato Sede del Giudice di Pace. Però ebbe a comportare dopo pochi anni il rancore di rimanere privato di un tanto privilegio, concesso in vece ad Altomonte; ma grazie sien rese a quelli egregi e valorosi compatriotti, la di cui ricordanza non sarà mai immolata sull'Altare dell'obblio, che seppero spiegare tali impegni, fino ad inoltrare a più del Trono, i giusti riclami pel torto inferito alloro paese, ed il Governo mosso alla forza del vero, all'esordire dell'anno 1820 repristinava Lungro nella prerogativa di Capo Circondario, beneficio che d'allora fruisce senza interruzione.